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Riforma della Cooperazione, c’è chi dice no!

Da ormai due anni leggiamo quasi esclusivamente commenti positivi e compiaciuti sulla riforma della Cooperazione che si appresta a diventare legge dopo il secondo passaggio parlamentare. La riforma della legge 49 era talmente attesa e necessaria che nessuno si è azzardato a metterla di nuovo a rischio dopo i numerosi naufragi (soprattutto di governi) ai quali abbiamo assistito negli ultimi 10 anni. Alcuni giorni fa dalle pagine di Nigrizia si è levato il grido di Alex Zanotelli, il 76enne missionario comboniano da sempre impegnato a difesa degli ultimi e degli emarginati, come sempre attivo nel farsi portavoce delle questioni di giustizia.

 

Nel suo appello intitolato “Operazione Affari”, Zanotelli sintetizza le quaranta pagine della nuova legge quadro del governo Renzi con queste parole: business-affari. “Nell’ultima legge-quadro sulla cooperazione, la 49 del 1987, il soggetto principale era il volontariato, nell’odierno disegno di legge il soggetto è diventato l’impresa. Questa legge fotografa bene l’ideologia portante del governo Renzi che va in Africa a promuovere il business di Eni”. Il progetto di legge viene giudicato “uno schiaffo sia alla dignità del popolo italiano che alla dignità dei tre miliardi di impoveriti nel mondo”.
L’attacco è radicale in puro stile Zanotelli e parla alla pancia del movimento missionario e cristiano sociale italiano, quello che trasversalmente costituisce una parte importante del pacifismo, del volontariato e della solidarietà del paese. (L’appello è sottoscrivibile qui)

 

E’ chiaro che Zanotelli non parla da tecnico e questa forse è proprio la cosa interessante del suo discorso che ci ricorda che il cammino di questa legge ha seguito un percorso (e un dibattito) esclusivamente tecnico. Ma la cooperazione, almeno quella della società civile e delle ONG, in fondo ha anche un’anima che risiede nella motivazione di migliaia di operatori e volontari che la praticano quotidianamente.

 

Ci sono buone possibilità che questa nuova cooperazione possa perdere il supporto della gente distaccandosi gradualmente dal volontariato e da chi ci crede veramente anche solo per ideale di fraternità. E’ questo lo spirito che negli ultimi 50 anni ha fatto della cooperazione una realtà importante e condivisa nel tessuto sociale del nostro paese.

 

Attenzione però che allontanandosi dalla gente questa nuova cooperazione non si allontani anche dai cuori e dai portafogli dei milioni d’italiani che la sostengono (ben di più e ben più assiduamente di quanto abbiano fatto negli anni i nostri governi).

 

Riusciranno a stare insieme le scuole costruite con i soldi di Eni e da Enel e il buon cuore degli italiani che adottano milioni bambini a distanza? O potremmo pagare direttamente l’adozione in bolletta?

 


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    1. Non concordo con quanto affermato da P. Zanotelli. Il suo commento mi rattrista. Esprime un approccio di fare della cooperazione un esclusivo delle associazioni di carità e di volontariato. Al contrario la cooperazione dovrebbe diventare un valore costitutivo di tutte la strutture, specialmente quelle con scopo di profitto e di sviluppo. E’ quello che si propne di ottenere la nuova legge sulla cooperazione.

  1. Concordo pienamente con quanto scrive Orlando. E’ il momento che la cooperazione passi da una mera condizione di carattere compassionevole, ad una prospettiva più profit, dove le piccole imprese del Sud del Mondo possano alzare la testa e migliorare effettivamente la condizione socioeconomica delle comunità d’appartenenza.

  2. Al di la della reazione di Zanotelli che ovviamente sconta il suo punto di vista e la sua esperienza tra i poveri degli slum, io sono molto daccordo sul fatto che dovremmo prestare attenzione affinchè la cooperazione non perda il favore e il sostegno della gente. Una cooperazione progressivamente più tecnica e orientata al business rischia davvero di perdere il legame con un tessuto sociale importantissimo che negli ultimi decenni ha creato una vera e propria coscienza civica sui temi della povertà e dello sviluppo.
    Questo patrimonio non deve essere perduto!

  3. sono d’accordo con Alfio, per me l’anima idealistica e la partecipazione piu’ strutturata delle imprese dovrebbero poter coesistere.

  4. L’Africa in generale e alcuni paesi in particolare, sono annoverati tra i più benedetti dalla natura, in termini di risorse naturali.
    In effetti, il petrolio, il gas, il diamante, l’oro, il cobalto, il rame, l’uranio, il coltano, le immense foreste, le acque ecc… sono alcuni esempi dei fiori di questi paradisi terrestri.
    Alcune di queste ricchezze non sono ancora sfruttate ed altre non ancora esplorate né scoperte. Questi sono i motivi per cui si parla di paesi potenzialmente ricchi e non di paesi ricchi, nonostante questo catalogo di ricchezze.
    Per trasformare questo potenziale in ricchezze, serve l’azione umana : l’utilizzo, la trasformazione, la gestione. Questa azione umana sarà suggerita attraverso numerosi concetti elencati più volte all’interno di questo libro : la governance, la leadership, la responsabilità.
    Perché i paesi cosi ricchi possono essere annoverati tra i più poveri, con le popolazioni più povere del pianeta? Perché i loro popoli non gioiscono di queste immense ricchezze ? Perché questi paesi non si sviluppano?
    Perché, al contrario, questi paesi con eccezionali potenziali sono regolarmente confrontati a conflitti armati ed a guerre permanenti ?

    Questo incredibile paradosso solleva interrogativi: perché? Come è possibile essere così ricchi e poveri e anche miserabili allo stesso tempo? Come è possibile?

    Penso che è proprio questa domanda ad essere alla base di questo libro:
    le risorse dell’Africa sono una maledizione o una benedizione?

    L’Africa è sempre stata capace di mobilità, di progresso, di sviluppo e d’intelligenza.

    Ci sono due modi per considerare la storia delle società. O la si considera emergere dal vuoto, e a questo punto si parla in modo pesante, con discorsi eterei e si divaga. O si ritiene che solo una prospettiva a lungo termine, ci permette di comprendere le loro evoluzioni. Ovviamente, io preferisco il secondo approccio per l’Africa.

    Gli economisti monopolizzano il discorso sull’Africa e allineano statistiche che sostengono che l’Africa se la sta cavando. Commettono i loro soliti crimini. Ma se sentiamo il parere degli storici, sociologi e politologi, ci renderemo conto che stiamo vivendo uno scenario molto classico. Già nei XVIe e XVIIe secoli, la costa sene-gambiana, con la sua borghesia intraprendente, fortemente integrata nel commercio mondiale, stava vivendo una forte crescita. Per quali risultati? Negli ambienti in cui si parla continuamente dell’Africa, si preferisce negare le crisi, gli attacchi, i massacri…Tirare previsioni raggianti sulla base di tre o quattro indicatori economici è insopportabile, perché è pigrizia.

    Ogni volta che c’è una redistribuzione delle carte su scala mondiale, l’Africa viene invitata a partecipare con l’apporto di uomini e di materie prime. Ma il suo ruolo è subordinato, e questo modo di stivaggio continua da decenni. In realtà, l’Africa è ambita. Sarà sufficiente che la situazione economica mondiale cambi in modo che cada nel dimenticatoio, nella miseria e nelle profondità della storia. Quello che sta accadendo oggi non è il frutto di una conquista africana. L’Africa rimane abbandonato.

    L’Africa non ha le basi necessarie. I Rapporti alla conoscenza, la scienza e l’educazione sono estremamente diafani. Pochi decenni non basteranno, per mettere in atto un utilizzo dinamico della conoscenza.

    Da questo punto di vista, 2025-2050 sembra essere una meta troppo breve, e questo non accadrà senza convulsioni. Il tempo per l’Africa non è ancora maturo. Ci sono segnali positivi, ma questi sono solo pepite in un fiume che torna indietro.

    L’Africa ha sempre avuto imprenditori innovativi, ma le eredità storiche sono gestanti. Non siamo ancora fuori dal commercio degli schiavi e dalle economie dei banchetti. Quello che è ad esempio successo in Costa d’Avorio, lo illustra perfettamente. Ouattara et Gbagbo sono dei «signori della guerre» che cercavano il potere e il controllo della terra stringendo alleanze con stranieri. Le società africane sono colme di poteri predatori. Non abbiamo una classe dirigente in grado di stabilire patti con le popolazioni per creare ricchezza, ma degli strati dominanti che monopolizzano le risorse naturali, con l’ausilio di potenze estere. Questo collegamento con il mondo non è cambiato, e questa matrice rimane valida. Questo processo ha avuto un crescente aggravio con l’integrazione nelle reti mafiose internazionali.

    E’ Presumibile che ci stiamo muovendo da una economia d’estrazione a una economia di accumulazione, da una economia predatoria ad una economia di produzione, ma l’esito è incerto. La direzione può essere felice o tragica. E questo non rientra nell’ingegneria sociale e politica.

    Il potere in Africa funziona per provvidenza. Non ci sono leader, né democrazia. Le elezioni non sono nemmeno finanziate dagli africani.

    Siamo nel impollinazione di un discorso. Nel mio caso, cerco di capire meglio le traiettorie africane. Io non credo nella immutabilità del continente, semplicemente, perché è impossibile prevedere il futuro. L’Africa potrebbe essere il continente di domani, potrebbe anche essere una terra di massacri e guerre. Non è una prospettiva lassista potrebbe decidere diversamente.

    Il sottosviluppo non è dovuta a una mancanza di capitali, nessuna interpretazione economica non riesce a spiegare la situazione. Pertanto, dobbiamo tornare alla questione tabù della “mentalità”. Attenti però, non si tratta delle mentalità volatile africane: “l’Africa rifiuta lo sviluppo e quello rifiuto dello sviluppo si nota poco negli ambiti tradizionali in confronto alle grandi capitali dove il rifiuto è chiaramente palpabile”. “Questi comportamenti ed attitudini suicidatori assimilati a persistenze di culture tradizionali, costituiscono un nuovo sistema ideologico spesso rivendicato da una élite africano vergognoso della loro occidentalità”, che ha bisogno di “lavarsi dal peccato di toubabizzazione”. Dentro questo libro, parlo proprio delle mentalità delle classi dominanti attuali.

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