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Fondo Africa a rischio: securizzazione o cooperazione?

Mentre oltreoceano si procede spediti verso la costruzione di un nuovo muro tra gli Stati Uniti e il Messico, a casa nostra ci apprestiamo a spostare definitivamente i confini europei in Africa. Venerdì prossimo i capi di stato europei si riuniranno a Malta per un Consiglio europeo informale e saranno chiamati a prendere una decisione sul nuovo piano per il blocco dei migranti lungo la rotta del Mediterraneo. Nel frattempo a Roma è prevista per questa settimana l’emanazione del decreto per l’implementazione del Fondo per l’Africa di 200 milioni di euro, istituito dal Governo nella Legge di Bilancio 2017. In origine sarebbe dovuto essere “un fondo per interventi straordinari volti a rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani d’importanza prioritaria per le rotte migratorie” ma rischia di trasformarsi in un ulteriore contributo italiano ai blocchi navali e alle operazioni di polizia frontaliera nei paesi africani.

 

Non si è fatta attendere la reazione delle reti di Ong e organizzazioni sociali italiane che in un comunicato stampa congiunto chiedono al ministro degli Esteri Angelino Alfano che il decreto rispetti la finalità assegnata dalla Legge al Fondo e si rivolgono anche al Parlamento affinché si attivi nel confronto con il Governo.
Prima dell’ufficializzazione del decreto attuativo – secondo le organizzazioni – è indispensabile verificare che il Fondo straordinario per l’Africa non si concretizzi in una politica di contenimento dei flussi dei migranti alle frontiere attraverso il sostegno all’impiego di forze di polizia come sbarramento per le genti in fuga da conflitti, violenze, persecuzioni e condizioni di povertà estrema e in cerca di protezione internazionale.

 

Le ONG chiedono che il fondo non preveda un trasferimento diretto di risorse, in accordi governativi bilaterali, a quei regimi africani che mettono in atto politiche aggressive e antidemocratiche e continue violazioni dei diritti umani, sia nei confronti dei migranti e rifugiati, sia delle popolazioni e comunità che amministrano. Perché questo avvenga non basta, da parte dei Governi dei Paesi beneficiari degli aiuti del Fondo per l’Africa, una generica accettazione del vincolo del rispetto delle Convenzioni Europee ed internazionali dei Diritti Umani. Occorre un trasparente ed efficace monitoraggio permanente da parte delle Agenzie umanitarie e di Cooperazione internazionale del sistema delle Nazioni Unite con la partecipazione delle Ong italiane e africane.

 

L’auspicio è che il Fondo sia utilizzato per supportare programmi di Cooperazione internazionale per lo sviluppo, per contribuire ad affrontare le cause che determinano i fenomeni migratori attuali: violenza, violazione di diritti, fame, povertà, conflitti, conseguenze dei cambiamenti climatici e dello sfruttamento delle risorse ambientali, prime fra tutte la terra e l’acqua. Il soggetto di coordinamento dell’implementazione del Fondo per l’Africa deve essere la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) del MAECI (anche in raccordo con altre direzioni generali interessate e con il ministero dell’Interno; la gestione dei programmi da finanziare deve vedere la titolarità dell’Agenzia Italiana della Cooperazione allo Sviluppo (AICS).

 


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