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E’ polemica sui salvataggi delle ONG, la politica alla ricerca del capro espiatorio

Diversi esponenti di primo piano della politica italiana si stanno esercitando nelle ultime settimane in un attacco alle ONG impegnate nel Mediterraneo centrale in operazioni di salvataggio in mare. Le accuse più diffuse contro le organizzazioni non governative impegnate nei soccorsi (Proactiva open arms, Medici senza frontiere, Sos Méditerranée, Moas, Save the children, Jugend Rettet, Sea watch, Sea eye e Life boat) sono quattro: le navi delle ONG si spingono troppo vicino alle coste libiche e rappresentano un fattore di attrazione per i migranti, le missioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo hanno determinato un aumento delle morti e dei naufragi, le ONG si finanziano in maniera opaca e potrebbero essere in collegamento con i trafficanti, le ONG portano i migranti in Italia perché vogliono alimentare il business dell’accoglienza.

 

Tutto parte da un articolo del Financial Times datato dicembre 2016 nel quale si citano alcuni passaggi di un rapporto riservato di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne, che denunciava dei presunti legami tra i trafficanti di esseri umani e le imbarcazioni delle organizzazioni umanitarie. I sospetti di Frontex sono stati accolti dalla procura di Catania, città in cui ha sede l’agenzia europea, che a sua volta ha aperto un’indagine conoscitiva – senza indagati né capi di accusa – sull’origine dei finanziamenti che permettono alle ONG di sostenere le loro attività di ricerca e soccorso in mare.

 

Fino a qui tutto avrebbe potuto anche avere un senso perché la quasi totalità delle ONG in questione non sono italiane, hanno base logistica a Malta ma conducono i migranti presi in salvo presso i porti italiani senza prendere in considerazione i regolamenti internazionali che impongono il salvataggio delle persone in pericolo e prescrivono che queste siano condotte presso il primo “porto sicuro”. Le Organizzazioni in questione però dichiarano che tutte le operazioni sono condotte sotto l’egida del Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo di Roma, IMRCC, e seguono le istruzioni delle autorità italiane.

 

La situazione degenera quando ci mettono lo zampino i politici (tanti e di tutti gli schieramenti), sempre alla ricerca di un argomento da campagna elettorale o un alibi che copra i fallimenti della politica nella gestione dei flussi migratori. Ultimo in ordine di tempo è il vice presidente della Camera Di Maio che dichiara che “le organizzazioni non governative sono accusate di un fatto gravissimo, sia dai rapporti Frontex che dalla magistratura, di essere in combutta con i trafficanti di uomini, con gli scafisti, e addirittura, in un caso e in un rapporto, di aver trasportato criminali”. Accuse gravissime che necessiterebbero di accurate verifiche visto che finora nessuna ONG risulta essere stata accusata dalla magistratura di nessun reato.

 

Purtroppo la difesa delle ONG non produce gli stessi like e retweet delle accuse, non fa lo stesso rumore e non porta voti alle elezioni. E’ per questo che sono pochi gli esponenti della politica a prendere le difese di chi non accetta più la “normalità” dei morti in mare. Sono le singole organizzazioni a difendersi dagli attacchi oltre che le reti di rappresentanza del ONG italiane che prendono posizione con un comunicato congiunto.

“L’aumento drammatico delle morti in mare e le migliaia di salvataggi a seguito dei naufragi dei barconi dei trafficanti – dovuti anche alla mancanza di canali regolari di ingresso in Europa – sono da alcuni ormai considerati una normalità e si rischia l’assuefazione a queste tragedie evitabili e alle sofferenze che esse comportano. Ma c’è chi, nella società, nella politica e nei media non accetta questo tipo di “normalità” e non tollera il rumore sguaiato e grossolano di chi, senza avere alcuna visione, strategia politica e capacità propositiva, si rifiuta di guardare la realtà e di affrontarla salvaguardando i valori di umanità e solidarietà, che sono alla base della nostra convivenza. A loro facciamo appello, a livello governativo, politico, sociale, mediatico, perché si uniscano a noi nel reagire a questa deriva che colpevolizza ingiustamente e strumentalizza le Ong, invece di interrogarsi sulle responsabilità delle politiche europee in relazione alle morti in mare. E’ di fronte al ritiro delle istituzioni, a politiche migratorie fallimentari e alle scelte prevalentemente securitarie e di corto respiro dell’Unione europea e degli Stati membri, che alcune Ong italiane ed europee si sono sentite in dovere di avviare nel Mediterraneo centrale attività di ricerca e soccorso di bambini, donne e uomini in balia delle onde e in grave pericolo di vita. Dando così fastidio a chi, pur di limitare gli arrivi, è disposto a chiudere gli occhi di fronte all’enorme tragedia umanitaria che, in definitiva, rappresenta il declino della nostra civiltà e dei suoi valori. “

 

Sul fronte istituzionale bisogna registrare soprattutto l’impegno del vice ministro Mario Giro che con una serie di articoli e interviste ha cercato di ristabilire la verità su questa vicenda che rischia come sempre di criminalizzare un intero settore. Spiace invece constatare il silenzio dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione che non ha ritenuto fino ad oggi di dover prendere una posizione in difesa delle organizzazioni non governative italiane.

 

Leggi il comunicato delle reti

 

Per chi volesse approfondire vi consigliamo un interessante cronistoria di questa vicenda pubblicata da repubblica.it a firma di Nino Sergi.

 


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