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Più volte abbiamo parlato nelle pagine del blog dell’immagine che spesso le ONG continuano a veicolare dell’Africa e dei paesi più poveri al solo scopo di raccogliere fondi. L’impressione è che questo fenomeno del mondo della comunicazione, da molti denominato pornografia della povertà o del dolore, sia destinato a durare a lungo nonostante la narrazione dello sviluppo e della povertà stia facendo passi avanti in un contesto completamente cambiato che non può più giustificare immagini e racconti estremi su fame e malnutrizione come quelli che continuiamo a vedere sui giornali, in tv e su internet. La consapevolezza che si tratta di puro marketing per raccogliere fondi è ormai abbastanza diffusa nell’opinione pubblica e sono sempre più le persone irritate da questo tipo di messaggio che però evidentemente raccoglie ancora consenso e buone redemption in termini di raccolta fondi.

 

Cosa si può fare allora per invertire questa tendenza? Cosa può fare ognuno di noi quando vede messaggi pubblicitari che travisano eccessivamente o deliberatamente la situazione di povertà in un paese in via di sviluppo? Probabilmente non ci resta che farlo sapere alla ONG di turno, manifestando il nostro disagio davanti a immagini così strumentali e pietiste.

 

A lanciare questa provocazione è l’associazione delle ONG irlandesi che da diversi anni sta lavorando per cambiare la narrazione dello sviluppo e della povertà attraverso la redazione di un codice di condotta sulla comunicazione che la maggior parte delle ONG irlandesi ha sottoscritto.
In Italia siamo ancora sprovvisti di uno strumento come questo ma diverse organizzazioni dichiarano di avere codici etici propri che dovrebbero tutelare l’immagine dei beneficiari dei loro stessi progetti, soprattutto i bambini.

 

Le ONG sono sempre più attente al feedback dell’opinione pubblica oltre che alla redemption delle loro campagne di raccolta fondi. Non è un caso infatti che molte si mostrino impegnate in battaglie politiche e di advocacy ad alto livello e contemporaneamente riempiano le caselle delle lettere di tutta Italia con messaggi pietisti degni della crisi del Biafra. Due canali di comunicazione completamente autonomi che si rivolgono a pubblici diversi e che sembrano non avere nessuna interazione e forse poca coerenza.

 

C’è poi un problema legato alla privacy e alla tutela dell’immagine dei minori. Avrete notato in televisione quanto sia ormai tutelata l’immagine dei minori. I volti dei minori infatti non possono apparire a meno che non abbiano firmato un consenso. In alternativa il viso viene mascherato da pixel o altre schermature. Tutto questo non avviene quando il bambino in questione è africano e la sua foto serve per raccogliere fondi.

 

Cosa puoi fare allora quanto incappi in immagini e messaggi di questo tipo?

 

  • Controllare se l’organizzazione ha un suo codice di condotta o codice etico che regolamenta la diffusione dei messaggi comunicativi.
  • Contattare l’organizzazione via telefono o e-mail. Non è necessario scrivere una lunga nota. Basta descrivere l’annuncio, articolo o la foto a cui si fa riferimento, e spiegare i motivi per cui non avete gradito quel tipo di comunicazione. Tutte le organizzazioni hanno un referente specifico per questo tipo di attività di comunicazione/marketing/raccolta fondi, che non mancherà di rispondervi.
  • Se si tratta di un banner su internet puoi segnalarlo come banner inappropriato o offensivo. Oggi la maggior parte dei banner online hanno una casella in alto a destra che permette di chiudere l’annuncio e segnalare perché l’annuncio non ci è piaciuto. Anche questi feedback arrivano a destinazione…

 


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  1. Sono completamento d’accordo nel denunciare questa “pornografia della povertà” a cui ricorrono ONG anche di prestigio mondiale. Il risultato economico non può scusare o giustificare il ricorso a “pubblicità ingannevole”. Perché non dare più spazio ai risultati positivi ottenuti in questo settore nel mondo? Potrebbe essere un modo più convincente per partecipare e contribuire agli sforzi messi in campo.

  2. Felice che giunga questa notizia! Lavoro in una ONG e per molto tempo mi sono occupata di comunicazione e FR. Ho condiviso questo pensiero diverse volte con colleghi del settore e ritengo che in Italia debba essere delineato un reale e condiviso codice di condotta in tema di comunicazione e FR, che però sia stringente e vincolante.

    A ciò deve aggiungersi la creazione di una cultura della donazione e della narrazione dei fatti che non sia lesiva dei diritti altrui.

    Un ruolo chiave potrebbe giocarlo a mio avviso in Italia l’ASSIF, insieme all’Associazione Nazionale della Stampa, all’AOI, all’AGCOM e a quei soggetti che possono definire linee guida e deontologiche chiare e vincolanti.

    Certe campagne o pubblicità, pur essendo del settore, mi irritano e mi chiedo: “ma se al posto di quel volto di bimbo ci fosse il volto del figlio di chi ha pensato quella campagna, ce lo metterebbe suo figlio in quelle condizioni, con peraltro l’obiettivo di raccogliere fondi?”. Insomma, il diritto di tutelare la propria immagine e la propria condizione deve essere di tutti e non di alcuni. Questo fa sì che “il fine non sempre giustifica i mezzi”.

  3. Condivido pienamente il disappunto per una certa forma di comunicazione, basata su una rappresentazione parziale ed estremizzata della povertà, volta ad ottenere consenso facendo leva su sentimenti di pietismo e su sensi di colpa (strumenti sempre forti ed efficaci), anziché su senso civico, responsabilità, cittadinanza attiva e nel rispetto (secondo il punto di vista dell’articolo che sottoscrivo) della dignità e della privacy dei bambini. Credo che questo disappunto sia molto diffuso tra gli operatori del settore e poco tra chi ne è estraneo e non è abbastanza stimolato a riflettere su queste tematiche (ovvero il mare di potenziale donatori). La parola d’ordine è quindi sensibilizzare e far capire, anche con articoli di questo tipo, cosa c’è che non va in questa comunicazione. Credo che a poco serva fare riferimento ai codici etici che richiamano spesso al rispetto e alla protezione dei bambini, ma in forma generica o rispetto ad ambiti slegati dalla comunicazione. Come se la comunicazione non potesse far male (può non essere effettivamente immediata la comprensione dei suoi effetti negativi). Piuttosto vale la pena declinare concretamente e in azioni cosa significano rispetto e protezione. Ad esempio con i consigli sulla narrazione della cooperazione (presenti i link nell’articolo). Riporto quelli che mi sembrano più incisivi:

    – Rappresentare in modo onesto ogni situazione rappresentando il contesto specifico e quello più ampio, in modo da migliorare la comprensione pubblica delle realtà e la complessità dello sviluppo.
    – Evitare immagini e messaggi che possano creare uno stereotipo, discriminare persone, situazioni o luoghi e/o creare sensazionalismo.
    – Utilizzare immagini, messaggi, e casi di studio con la piena comprensione, partecipazione e autorizzazione dei soggetti coinvolti (o dei genitori dei soggetti)
    – Garantire a coloro che sono direttamente coinvolti nella situazione che viene rappresentata la possibilità di comunicare le loro storie o la loro versione dei fatti.
    – Chiedere e registrare se i soggetti desiderano essere nominati o identificati e agire sempre di conseguenza.
    – Mai utilizzare il pietismo e indurre il senso di colpa nell’opinione pubblica rispetto alla povertà
    – Mai usare la parola “Aiuto” (ndr, la cooperazione non è qualcosa di unidirezionale, di me che aiuto te, ma un processo congiunto, in cui io e te ragioniamo insieme su come migliorare una data situazione).

    Per fare leva su ONG che dovessero adottare queste modalità: forse è più efficace che Info-Cooperazione o gruppi di ONG elaborino una lettera standard che ciascuno possa poi sottoscrivere e inviare alla ONG destinataria.

  4. Questi messaggi sono su alcune emittenti, ma principalmente su Supertennis TV (forse perché c’è un pubblico economicamente da fair play) e sono così “irritanti” e ricattatori che devo cambiare canale!
    Stefano

  5. Rispetto all’uso delle immagini dei minori io ho provato a fare una segnalazione alla rete e poi all’autorita’ competente ma dopo vari palleggi mi hanno risposto che lo spot in questione (scandaloso, garantisco…) a loro giudizio non era irregolare. Solo per dire che siamo lontani…

  6. Non ne posso più di vedere imagini di bambini africani MALATI in tv, sfruttati dalle ong..UNICEF , SAVe THe CHILDREN..basta!! i vostri aiuti non valgono le risorse naturale che sono rubati ogni anno in Africa dai multinazionali e governi occidentali

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