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Post Cotonou, a che punto sono le negoziazioni sul futuro delle relazioni UE-ACP

L’accordo di partenariato di Cotonou, noto come Cotonou Agreement, è il quadro giuridico che regola le relazioni tra l’UE e 79 Paesi di Africa, Caraibi e Pacifico (ACP). Si tratta di uno dei quadri di cooperazione più antichi e completi negoziati da Bruxelles con i Paesi terzi. Firmato nel 2000 con una durata di 20 anni, l’accordo riunisce più di cento Paesi e rappresenta oltre 1,5 miliardi di persone. Il partenariato UE-ACP regolato dall’accordo si concentra sull’eliminazione della povertà e sullo sviluppo sostenibile nei Paesi ACP e UE con tre aree di azione chiave: cooperazione allo sviluppo, dialogo politico e commercio.

Dal 2000 ad oggi i contesti globali e regionali – in Europa, in Africa, nei Caraibi e nel Pacifico si sono evoluti in modo significativo e sono emerse nuove sfide globali comuni da affrontare ma anche nuove opportunità da cogliere. Pertanto, gli obiettivi chiave del partenariato devono essere rivisti per meglio adattarsi alle nuove realtà. L’accordo di Cotonou scadrà il 29 febbraio 2020, la nuova intesa dovrà essere conclusa e approvata entro tale data.

La questione è più rilevante di quanto possa sembrare a prima vista. L’accordo di Cotonou, infatti, fa da cornice giuridica al Fondo europeo per lo sviluppo (EDF) da oltre 30 miliardi di euro, una partita importante per il mondo della cooperazione internazionale. In questa fase negoziale, l’UE punta a un accordo politico globale che preveda un programma moderno incentrato sulle roadmap dello sviluppo sostenibile concordate a livello internazionale: Agenda 2030 delle Nazioni Unite sui SDG (Sustainable Development Goals), Agenda di Azione di Addis Abeba, Accordo di Parigi, Strategia globale sulla politica estera e sulla sicurezza UE, etc. Secondo una nota della Commissione Europea, molte delle sfide odierne hanno una dimensione globale e richiedono pertanto un approccio multilaterale concertato per ottenere risultati tangibili.

L’accordo post-Cotounou parte però con delle questioni irrisolte tra le quali, ad esempio, c’è il problema di chi dovrebbe negoziare un nuovo accordo tra UE e Africa, emerso quando l’Unione Africana ha chiesto una negoziazione diretta di un nuovo partenariato continente-continente con l’UE al di fuori del quadro ACP-UE. I membri africani degli ACP hanno cavalcato due cavalli contemporaneamente, da una parte tenendosi stretti all’Unione Africana (UA) per un partenariato equo e moderno con l’UE, mentre si affrettavano contemporaneamente a negoziati con la Commissione Europea sotto la bandiera ACP. Questi due livelli hanno compromesso l’avvio dei negoziati creando una certa confusione e alimentando il rischio di un nuovo accordo ACP-UE fragile e contestato già prima della sua effettiva attuazione. La spinta verso una “soluzione ibrida” potrebbe portare alla frammentazione dei partenariati in un momento in cui sia l’UA che l’UE chiedono un’alleanza più forte.

Un altro nodo irrisolto evidenziato è lo scarso livello di collaborazione effettiva, il prevalere dell’agenda politica europea sui reali bisogni degli Stati nei processi di allocazione delle risorse: in molti casi i soldi per la cooperazione internazionale non sono serviti per promuovere lo sviluppo economico di un Paese ma bensì per soddisfare le necessità di sicurezza e controllo dell’immigrazione espresso dai Paesi Europei. E’ significativa la mancanza di un’agenda politica e una strategia comune capace di rivoluzionare i meccanismi della cooperazione che negli ultimi vent’anni non sono riusciti a promuovere un cambiamento radicale verso nuove prospettive di sviluppo e collaborazione.

Secondo la proposta della UE il nuovo accordo prevede una struttura rinnovata, che consiste nella combinazione di un accordo di base comune contenente obiettivi generali, valori e principi comuni per UE, Africa, Caraibi e Pacifico e tre partenariati regionali rafforzati (UE-Africa, UE-Caraibi, UE-Pacifico), sotto forma di protocolli specifici, che consentiranno agli attori interessati di partecipare alla negoziazione, alla governance e all’attuazione del futuro partenariato nel rispetto del principio di sussidiarietà.

La futura intesa dovrebbe avere una durata iniziale di ulteriori 20 anni. Tre anni prima della sua scadenza è previsto l’avvio di un processo per riesaminare le disposizioni e valutare le necessità delle relazioni future. A meno di una diversa decisione, l’accordo sarà rinnovato tacitamente per un periodo massimo di 5 anni, fino a quando tutte le parti coinvolte non avranno concordato nuove disposizioni. L’accordo dovrebbe, infine, includere una clausola per una revisione completa delle priorità strategiche dopo la scadenza dell’agenda delle Nazioni Unite 2030.

Le negoziazioni sono iniziate il 28 settembre 2018. A maggio 2019 i negoziatori hanno previsto la possibilità di misure transitorie qualora il nuovo accordo non fosse concluso e ratificato alla fine di febbraio 2020. Il principale negoziatore per l’UE è Neven Mimica, Commissario per la Cooperazione e lo Sviluppo Internazionale. Il principale negoziatore per il gruppo di Stati ACP è Robert Dussey, Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione del Togo. In questi mesi si sono svolte diverse sessioni tecniche di negoziazione. I principali negoziatori hanno comunicato i risultati approvati a livello politico il 14 dicembre 2018, il 4 aprile e il 23 maggio 2019.

Un primo ciclo di negoziati, aperto nell’ottobre 2018, ha stabilito la struttura generale dei nuovi trattati: il principio di una base comune e pilastri regionali è stato accettato da entrambe le parti. Questi negoziati si concentrano anche su valori e interessi condivisi. Una seconda tornata si è aperta il 25 gennaio scorso, concentrandosi sul contenuto della piattaforma comune e sulle componenti istituzionali del futuro partenariato. Infine, i negoziati sui partenariati regionali sono stati avviati ufficialmente il 4 aprile 2019.

Ora molto dipenderà dalla ripresa dei negoziati a settembre che vedrà al tavolo il nuovo commissario europeo allo sviluppo che sostituirà Mimica e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza che prenderà il posto di Federica Mogherini.


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