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Più gas che sviluppo: i limiti del Piano Mattei per l’Africa

Si è tenuta oggi la quarta riunione della cabina di regia del Piano Mattei  nella quale il governo ha presentato una bozza della seconda relazione sullo stato di avanzamento che dovrà essere inviata al parlamento entro fine giugno. Solo poco giorni fa un’analisi pubblicata dall’Osservatorio sui conti pubblici italiani (Cpi) dell’Università Cattolica sollevava dubbi sulla reale efficacia del piano, evidenziando che la strategia sembra legare ulteriormente l’Italia alla dipendenza dai combustibili fossili anziché produrre dinamiche di sviluppo nei paesi destinatari del piano.

Secondo l’Osservatorio diretto da Carlo Cottarelli, il Piano Mattei, così come strutturato, non è sufficiente per garantire un reale sviluppo socioeconomico nei paesi coinvolti, né tantomeno per frenare l’immigrazione. Si tratta piuttosto di una strategia commerciale focalizzata principalmente sull’acquisizione di risorse energetiche.

La struttura del Piano e i limiti emersi

I ricercatori dell’Osservatorio Cpi osservano che dei 20,5 miliardi di euro spesi dall’Italia per beni importati dai nove paesi coinvolti nel 2024, ben 9,4 miliardi sono stati destinati all’acquisto di gas, principalmente dall’Algeria. Seguono le importazioni di prodotti manifatturieri (7,8 miliardi) e di petrolio (2,6 miliardi). Questo significa che oltre la metà delle risorse investite è finita nel settore energetico legato ai combustibili fossili, nonostante il Piano si proponesse di promuovere lo sviluppo economico nei paesi africani. “Se anche venissero impiegati tutti i 5,5 miliardi messi a disposizione, questi rappresenterebbero lo 0,5% circa del Pil aggregato dei nove Paesi”, una cifra insignificante per incidere realmente sull’economia locale.

Inoltre, la provenienza dei fondi non costituisce una novità: i 5,5 miliardi sono risorse già stanziate, riorientate da altri progetti. Di questi, 2,5 miliardi provengono dal Ministero degli Esteri (cooperazione e sviluppo) e 3 miliardi dal Ministero dell’Ambiente, prelevati dal Fondo italiano per il clima.

Una strategia energetica mascherata?

L’analisi dell’Osservatorio Cpi non lascia spazio a interpretazioni: nonostante la narrazione di una cooperazione innovativa, il Piano Mattei finora si è tradotto principalmente in accordi commerciali legati ai combustibili fossili. L’Italia ha stretto nuove intese energetiche con i nove paesi iniziali (Algeria, Egitto, Tunisia, Marocco, Costa d’Avorio, Etiopia, Kenya, Mozambico e Repubblica del Congo) e ha esteso il Piano ad altre cinque nazioni nel 2025 (Angola, Ghana, Mauritania, Tanzania e Senegal).

L’Osservatorio Cpi riporta: “Dai cinque nuovi Paesi che dovrebbero entrare nel 2025 l’Italia ha importato beni per un totale di circa 1,4 miliardi di euro nel 2024. Il principale prodotto è il petrolio (766 milioni), seguito dagli alimentari (251 milioni)”. Angola e Ghana si confermano i maggiori fornitori di petrolio tra i nuovi ingressi.

I progetti avviati: pochi e disomogenei

Il numero di progetti realizzati finora è limitato. Su 21 iniziative identificate, solo 9 hanno già un budget definito, per un totale di circa 600 milioni di euro. Il progetto principale è il “Corridoio di Lobito” (320 milioni), una ferrovia tra Angola e Zambia per il trasporto di minerali e prodotti agricoli, realizzata con il contributo di USA e UE. Un altro progetto significativo riguarda il Kenya, dove Eni sta investendo oltre 200 milioni di euro per la produzione di olio vegetale destinato ai biocarburanti. Gli altri progetti riguardano formazione, sanità e infrastrutture, ma con fondi decisamente inferiori, molti dei quali sotto i 50 milioni di euro.

Secondo il Cpi, per garantire un impatto significativo, il Piano dovrebbe includere investimenti strutturali e duraturi, in grado di rafforzare settori cruciali come l’istruzione, la sanità e le infrastrutture locali. In assenza di tali interventi, il rischio è che il Piano Mattei rimanga un’iniziativa limitata, incapace di rispondere alle sfide economiche e sociali dei paesi africani.

Scarica il rapporto completo


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  1. Non c’è da stupirsi, era nell’anima di chi lo ha pensato di utilizzare i fondi per fini ben diversi da quelli legati allo sviluppo e alla cooperazione, un altra bugia di questo governo

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