Da quasi un decennio il dibattito sulla localizzazione dell’aiuto è al centro delle discussioni internazionali sulla cooperazione e l’azione umanitaria. Ma l’azione è spesso in ritardo rispetto alle parole e solo recentemente alcuni attori dello sviluppo stanno iniziando a sperimentare percorsi concreti per ripensare il rapporto con i cosiddetti partner locali e mettendo in discussione il proprio potere. Se a parole tutti riconoscono l’importanza di dare più spazio e risorse agli attori locali, nella realtà la localizzazione si scontra con nodi complessi e tra il principio e la pratica si scopre una distanza che si traduce in ostacoli molto concreti.
Un aspetto chiave di questo è l’idea che le organizzazioni della società civile (OSC) nei paesi a basso e medio reddito debbano essere riconosciute per le loro capacità e prospettive, e come leader nei loro contesti.
Nella narrazione della cooperazione si tende a celebrare acriticamente le organizzazioni della società civile del “Sud del mondo”. Le organizzazioni della società civile “locali” o “nazionali” tendono a essere rappresentate come attori naturalmente legittimi. Presumibilmente, sono integrate nelle realtà e nelle relazioni comunitarie, in grado di “amplificare” le voci delle persone con cui lavorano e di ottenere risultati basati sul loro adattamento ai contesti locali. Tuttavia, c’è poca trasparenza su come viene effettivamente deciso quali organizzazioni della società civile del Sud corrispondano a tale descrizione e su quali basi.
In altre parole: si fa presto a dire “partner locale”, ma identificarne uno solido e affidabile è tutt’altro che semplice, entrano in gioco diversi aspetti: la valutazione delle capacità organizzative, la legittimità e rappresentatività delle ONG locali, la loro accountability verso le comunità e il rapporto con le autorità nazionali.
Rappresentatività e legittimità
In diversi contesti, la società civile è frammentata o dominata da élite urbane, e non mancano organizzazioni nate più per intercettare fondi che per rispondere a bisogni concreti delle comunità. Soprattutto per chi non conosce profondamente un determinato contesto locale può essere estremamente complicato districarsi tra le centinaia di OSC o presunte tali che spesso nascono da un giorno all’altro e si presentano come rappresentanti delle comunità locali.
C’è puoi una questione importante legata alla natura giuridica delle OSC locali. Le legislazioni nazionali in materia di organizzazioni non governative sono molto diversificate e spesso distanti dalla nostra idea di organizzazioni della società civile. In diversi paesi la nozione di non-profit non esiste e possono essere denominate come ONG o OSC anche realtà commerciali o profit che non sono tenute a rispettare principi e dinamiche associative democratiche.
Valutare la legittimazione di questi attori e il loro reale radicamento comunitario può fare la differenza in un percorso di localizzazione che non si limita a trasferire fondi agli attori locali lasciando escluse le comunità che la localizzazione dovrebbe invece mettere al centro.
Accountability verso le comunità
Il principio di accountability è spesso inteso in chiave verticale, cioè come responsabilità delle ONG verso i donatori. Ma una vera localizzazione richiede la cosiddetta “downward accountability”, verso i beneficiari e le comunità.
In assenza di meccanismi di consultazione, monitoraggio partecipativo e feedback diretto, molte ONG locali rischiano di diventare meri subappaltatori di fondi internazionali, più attenti a soddisfare i requisiti di reporting che a rispondere ai bisogni reali delle persone. L’ownership, in questo caso, resta un concetto astratto, mentre la promessa di “spostare il potere” si riduce a uno slogan.
Rapporti con le autorità locali
Un ulteriore nodo riguarda il posizionamento politico delle ONG locali nei confronti delle autorità nazionali e locali. In molti Paesi, le organizzazioni della società civile subiscono pressioni governative, limitazioni legali o tentativi di cooptazione. Il rischio, per gli attori internazionali, è di rafforzare partner che non hanno sufficiente autonomia dalle autorità, o che al contrario sono percepiti come opposizione politica. In entrambi i casi, la neutralità e l’imparzialità dell’intervento umanitario possono essere compromesse.
Capacità organizzative e gestione dei fondi
Molte ONG locali dimostrano un grande radicamento comunitario, un accesso privilegiato alle popolazioni più vulnerabili e una conoscenza unica del contesto. Tuttavia, spesso mancano delle strutture amministrative necessarie per rispettare i rigidi requisiti dei donatori internazionali: procedure di due diligence, rendicontazioni dettagliate, audit esterni, standard di sicurezza.
Il rischio per le ONG internazionali è quello di affidare risorse significative a partner che non hanno esperienza di gestione complessa, con possibili conseguenze sulla trasparenza e la reputazione. Per questo, molte organizzazioni optano per forme di partenariato “protette”, mantenendo gran parte del controllo gestionale, ma di fatto frenando il processo di localizzazione.
Cosa significa davvero “power shifting”
Alla luce di queste criticità, il power shifting non può essere inteso come un semplice trasferimento di fondi, ma come un processo complesso che richiede:
- Investimenti in capacity building delle ONG locali, in particolare su governance, rendicontazione e sicurezza.
- Processi di co-design dei progetti, in cui le comunità siano realmente coinvolte nella definizione delle priorità.
- Meccanismi di accountability partecipativa, che diano voce ai beneficiari.
- Governance condivisa nei partenariati, evitando dinamiche di mero subappalto.
- Dialogo costante con le autorità locali, per proteggere lo spazio civico e garantire autonomia agli attori locali.
Oltre le buone intenzioni
La localizzazione dell’aiuto resta un obiettivo cruciale per rendere la cooperazione più equa ed efficace. Ma senza affrontare le criticità legate a capacità, rappresentatività e accountability, il rischio è di alimentare dinamiche superficiali, che spostano fondi senza spostare davvero il potere.
In questo ambito sono molto interessanti i risultati di una recente ricerca accademica olandese che in collaborazione con un’università indiana ha studiato come le organizzazioni della società civile dello stato del Jharkhand, partendo da un approccio basato sui diritti, costruiscono la loro legittimità nei confronti delle comunità per cui o con cui lavorano.
Per gli attori internazionali della cooperazione, la sfida è duplice: da un lato rispettare gli standard dei donatori e ridurre i rischi; dall’altro costruire partenariati che vadano oltre la logica dell’esecuzione, capaci di rafforzare il tessuto sociale e politico dei Paesi in cui operano.
“Partner locale” non può essere una formula di comodo: significa allearsi con attori credibili, legittimi e responsabili, pronti a farsi carico delle istanze delle comunità. Solo così la localizzazione potrà diventare un passo reale verso un aiuto internazionale più giusto, efficace e sostenibile.
