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Il Jobs Act e le ONG, cosa cambia?

E’ da poco entrato in vigore il Jobs Act, ultimo intervento legislativo in materia di diritto del lavoro degli ultimi anni. Obiettivo prefissato quello di creare più flessibilità, non solo in entrata, ma anche in uscita. Senza focalizzarci in questa sede sulla flessibilità in uscita, per la quale sono tuttora marcate le critiche nei confronti di alcuni provvedimenti di legge che renderebbero più facile il licenziamento, l’obiettivo di questo elaborato parallelamente a quello dichiarato nei recentissimi interventi in materia di Politiche del lavoro, è stato quello di ridurre l’area dei contratti atipici, o precari e ricondurre la maggior parte dei rapporti di lavoro all’interno della subordinazione a tempo indeterminato. Le novità introdotte dall’ultima legge n.183 del 10.12.2014, più nota come Jobs Act, vertono principalmente verso questi tipi di contratti cd. “parasubordinati a termine” che rappresentano, in buona sostanza, la formula contrattuale più utilizzata nel Terzo Settore e nel mondo delle ONG, ovvero quegli enti che operano prioritariamente per il raggiungimento di scopi sociali e umanitari.

 

Sebbene il Legislatore non faccia esplicita menzione di provvedimenti esclusivi per il Terzo Settore, equiparando tutti i settori e tutte le professionalità e rimandando ai singoli contratti collettivi (CCNL) previsti dalla tipologia contrattuale di ciascun rapporto di lavoro, ci si chiede come si rapporterà il nuovo Jobs Act con il Terzo Settore e con le ONG.
Come detto, la tipologia contrattuale dei contratti a progetto (Co.Co.Pro.) è largamente utilizzata nel Terzo Settore e in particolare dalle Organizzazioni Non Governative in virtù dei chiari elementi di specificità che connotano la natura stessa delle attività del collaboratore di ONG. Elementi che si declinano in progetti specifici, finalizzati al raggiungimento di un risultato, come: l’assoluta determinatezza dell’oggetto dell’attività inteso anche come parte integrante del più grande obiettivo generale perseguito dall’organizzazione; l’individuazione di un arco temporale circoscritto per l’espletamento dell’attività progettuale di rilevante responsabilità tecnica gestionale ed organizzativa; i margini di autonomia anche di tipo operativo da parte del collaboratore e la possibilità di un’obiettiva verifica del raggiungimento dei risultati attesi; la rilevante subordinazione dei progetti a forme di finanziamento pubblico ben definite nel tempo e nell’ambito di intervento.

 

Negli ultimi anni presso le ONG si è accentuata l’esigenza di personale con contratti a termine. Questo non solo per le chiare difficoltà finanziarie della maggior parte delle Organizzazioni (stipulare contratti a scadenza significa poter modulare i costi del personale a seconda dei vari contributi finanziari disponibili di anno in anno), ma anche per motivi di natura oggettiva che implicano contratti a durata limitata: esistono infatti delle situazioni di contingenza legate in alcuni casi ad interventi di emergenza o di monitoraggio elettorale, per esempio.

Normalmente le figure impegnate per conto delle ONG che prestano la propria professionalità direttamente in loco, quindi all’estero (come il volontario internazionale, il cd. “volontario senior”, il cooperante internazionale e l’esperto in Cooperazione e Sviluppo) sono state inquadrate attraverso contratti di lavoro stipulati privatamente dalle singole Organizzazioni. Le tipologie contrattuali seguono, nella gran parte dei casi, le indicazioni contenute nella ex Legge 49/87, ovvero la legge italiana che regola la Cooperazione Internazionale, e dall’Accordo Quadro tra le principali realtà italiane del Terzo Settore e le sigle sindacali maggiormente rappresentative. La tipologia contrattuale a progetto che ne deriva ha una durata variabile che può essere di breve, medio o lungo termine. Ciò implica per il professionista che voglia inserirsi nel mondo delle ONG una particolare adattabilità ad attività discontinue con persone ed ambienti differenti e richiede di trasformare la precarietà in virtù. Si tratta, il più delle volte, di una modalità volta a verificare sul campo l’effettiva predisposizione degli operatori a svolgere compiti e ad affrontare responsabilità che richiedono la massima flessibilità, testandone l’equilibrio e lo spirito d’iniziativa nel fare bene ciò che si sta facendo.

 

Dunque, quali sono le novità per le prestazioni lavorative all’estero da parte di cooperanti e operatori che collaborano con rapporti di lavoro esclusivamente legati al contratto a progetto? La risposta è la seguente: se i relativi rapporti sono regolati dalla legge italiana, allora si applicherà la stessa disciplina prevista dal nuovo Jobs Act.

 

In secondo luogo, esisteranno ancora i vecchi contratti a progetto? Quali problematiche potrebbero emergere relativamente ai contratti a progetto in corso e quali nuovi contratti saranno contemplati nella nuova Legge?
In questo dato quadro normativo, economico e sociale che chiede maggiore flessibilità (quindi non solo in entrata, ma anche in uscita) diventa fondamentale che si sviluppino strumenti efficaci che accompagnino i lavoratori nei momenti di passaggio da un impiego all’altro (politiche passive ed attive del lavoro, formazione permanente). Tutti i lavoratori e gli operatori dovranno confrontarsi con nuovi paradigmi, connotati da una maggiore dinamicità, soprattutto gli operatori del Terzo Settore che, come già espresso, sono portati a modificare nel corso della loro vita lavorativa e, per diverse volte, il rapporto d’impiego. Si passa da un lavoro all’altro, con degli intervalli temporali più o meno lunghi.

 

Il Jobs Act ha delegato il Governo ad emanare, nei successivi 6 mesi, una serie di decreti legislativi in materia di ammortizzatori sociali e di lavoro, stabilendo i principi e le linee guide della attività normativa delegata. Ad oggi, il Governo ha adottato solo due decreti legislativi, tra cui il decreto n.23 del 4 marzo 2015 recante “disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti”. Nessuno dei due decreti legislativi ha riformato o abrogato il contratto a progetto, che continua a trovare fonte normativa negli artt. 61 e succ. del D.Lgs 276/2003, così come modificato dalla Legge 92/12.

 

Ciò vuol dire che, ad oggi, è ancora possibile stipulare nuovi contratti a progetto o rinnovare quelli esistenti. Con delle cautele.
Solo nel momento in cui il testo relativo al decreto attuativo sul riordino delle tipologie contrattuali (attualmente al vaglio parlamentare) entrerà in vigore, non sarà più possibile stipulare o rinnovare contratti di collaborazione a progetto. Sarà possibile, invece, stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa (Co.Co.Co.), o contratti d’opera (lavoro autonomo). Oppure si potrà trasformare le collaborazioni in contratti a tempo indeterminato e a tutele crescenti, sfruttando così tutti gli incentivi messi a disposizione, secondo quanto prevede la nuova Legge di Stabilità 2015 che anticipa la volontà riformatrice del Legislatore e che trova compimento nella promulgazione del Jobs Act.

I rapporti di collaborazione a progetto ancora in essere all’entrata in vigore del decreto continueranno ad essere validi e andranno a naturale scadenza. Interpretazioni autentiche di fonte governativa affermano che le forme di collaborazione co.co.co non sono soppresse purchè si rispettino i requisiti di cui al c. 1 art. 47 (in sintesi siano realmente autonomi nella gestione della prestazione) e, sia pur con qualche rischio di futuri contenziosi, possono essere utilizzati, invece dei contratti a progetto anche dopo l’approvazione del decreto.

 

Entrando più nello specifico del settore non profit e delle ONG in particolare abbiamo cercato di capire cosa sta cambiando e come le organizzazioni stanno reagendo all’entrata in vigore del Jobs Act. Per questo abbiamo sentito l’ufficio risorse umane di due importanti ONG italiane tra quelle che sostengono Info-Cooperazione. Si tratta di Cesvi e WeWord che operando nella Cooperazione gestiscono personale sia in Italia che all’estero.

 

Non mancano le preoccupazioni per lo scenario che si sta delineando – ci dicono i colleghi di WeWorld: “La futura eliminazione della tipologia dei contratti a progetto colpisce il mondo delle ONG abbastanza duramente, soprattutto pensando che non è stata fatta una riflessione né sono stati dati gli strumenti necessari per andare a colmare il vuoto che l’assenza dei contratti a progetto lascerà nella nostra tipologia di organizzazione. Non ci riferiamo alle figure stabili di sede, che in WeWorld sono tutte assunte a tempo indeterminato, ci riferiamo invece a quei ruoli che sono necessariamente legati allo sviluppo di programmi o di progetti (Italia ed Estero)”.

 

Da Cesvi ci fanno sapere che, non essendosi ancora chiarito lo sviluppo che i contratti a progetto subiranno in futuro e non essendo ancora stato approvato definitivamente il decreto legge relativo ai Co.Co.Pro, non è stato introdotto alcun cambiamento nella gestione dei contratti per gli espatriati (che continuano ad avere un contratto a progetto). Sulla sede il discorso è diverso, al Cesvi stanno per ultimare un processo iniziato un paio di anni fa (quindi non legato al Jobs Act), e che ha avuto come obiettivo quello di stabilizzare tutti i contratti a progetto in essere.

 

Resta però la necessità di trovare uno spazio per definire le esigenze specifiche delle ONG per evitare che il Jobs Act possa avere effetti devastanti sulle organizzazioni. Per questo le associazioni chiedono che si apra al più presto un confronto nelle sedi competenti come avvenuto in passato per la formulazione dell’attuale Accordo Quadro che regolamenta i contratti a progetto nel nostro settore.

 

Dall’AOI rassicurano rispetto a questo percorso che tutti concordano rappresenti la soluzione effettiva e necessaria per tutelare le risorse umane del settore. Solo a tali accordi infatti è demandata la possibilità di derogare sia sui criteri per stipulare contratti co.co.co, sia per stipulare contratti a tempo determinato senza i limiti imposti dalle norme attuali.
In questo senso il percorso per stipulare accordi è facilitato e accelerato dal tavolo (Ministero del Lavoro/Sindacati/ONG) previsto dalla nuova legge sulla cooperazione relativa ai contratti all’estero (art.28), che potrebbe diventare anche l’occasione per rivedere e attualizzare il contratto generale stipulato nel 2013 applicabile anche al personale operante in Italia. I tempi rischiano comunque di non essere brevi perché la convocazione del tavolo potrebbe avvenire solo a completamento del quadro normativo attuale. (a cura di Vincenza Lofino)

 


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