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Le ONG scendono in campo per l’emergenza Covid-19, ma gli orizzonti di crisi spaventano le organizzazioni

La quasi totalità delle organizzazioni attive nella cooperazione e solidarietà internazionale ha dovuto sospendere e/o ridurre parte delle proprie attività in Italia e all’estero a causa della pandemia di Covid-19. Il 65% delle ONG ha bloccato o rimandato oltre il 50% della propria operatività, solo una organizzazione su 10 dichiara di non aver dovuto rallentare o interrompere alcun intervento.

Sono questi i dati che delineano la situazione delle ONG italiane a un mese dalle forti misure restrittive imposte dapprima in Italia ed ormai in diversi paesi d’Europa e del resto del mondo. Un’emergenza che ha costretto le organizzazioni a cambiare priorità e reimpostare il proprio lavoro in tempi rapidissimi ma che mette in allarme l’intero settore soprattutto davanti alla crisi economica che si prospetta per il futuro.
Oltre 150 delle più importanti organizzazioni non governative italiane hanno risposto alle domande di un’indagine proposta da Open Cooperazione in collaborazione con le reti AOI, CINI e LINK2007, con l’obiettivo di comporre il quadro della situazione del settore in termini di problematiche e risposte all’emergenza Covid-19.

Partiamo proprio dalla risposta all’emergenza che ha visto molte organizzazioni scendere in campo anche in Italia, con in prima linea quelle del settore sanitario che si sono attivate in particolare in Lombardia tra Codogno, Cremona e Bergamo. Il 55% delle ONG dichiara infatti di aver attivato specifiche attività legate a Covid-19 all’estero mentre il 40% le ha avviate in Italia.

Nei paesi partner il 75% delle organizzazioni sta mettendo in campo attività di informazione/prevenzione su Covid-19, il 38% supporta strutture sanitarie, il 17% effettua distribuzione alimentare, il 10% realizza attività di educazione e formazione e infine il 5% cura direttamente i pazienti contagiati.
12 organizzazioni si sono attivate in Mozambico, 8 in Kenya, 7 in Tanzania, 5 in Burkina Faso e Cambogia, 4 in India, Uganda, Brasile, Haiti, Palestina, Libia e Tunisia, 3 in Nepal, Guinea Bissau, Senegal, Burundi, Mali, Niger, RDC, Siria e Madagascar.

La maggior parte dei cooperanti delle ONG italiane infatti sono rimasti nei paesi partner anche se in questi giorni diversi colleghi stanno approfittando di alcuni voli speciali per il rimpatrio da paesi dove la situazione sanitaria si sta complicando e da cui sono stati bloccati i voli commerciali da e per l’Europa. Dai dati si evince che oltre la metà delle organizzazioni non ha proceduto al rimpatrio di alcun cooperante, nel 30% dei casi sono stati rimpatriati solo alcuni cooperanti, 16 organizzazioni hanno provveduto al rimpatrio di tutti i propri cooperanti espatriati.

Veniamo all’Italia, dove l’attività più comune messa in campo in Italia è la didattica e/o formazione online, il 48% delle ONG sta offrendo in queste settimane percorsi didattici interattivi, corsi e webinar gratuiti su diversi temi e per pubblici diversificati. Il 33% ha invece attivato il proprio volontariato territoriale a sostegno delle fasce più vulnerabili della popolazione per la consegna di pasti, la distribuzione di alimenti e beni di prima necessita, e l’assistenza a persone contagiate e ai loro familiari in quarantena.

Per supportare queste e altre attività straordinarie il 37% delle organizzazioni ha lanciato una raccolta fondi specifica legata al Coronavirus. Non è un caso che il 58% di queste azioni di fundraising vadano a finanziare ospedali italiani e protezione civile, il 40% invece servirà a supportare attività proprie in Italia e il 30% attività proprie all’estero.

L’ultima parte dell’indagine è dedicata alle criticità e alla percezione delle organizzazioni rispetto alla sostenibilità economica davanti alla crisi che si prospetta all’orizzonte. Il 40 % delle ONG rispondenti dichiara che in questo primo mese di emergenza Covid-19 le proprie entrate da raccolta fondi si sono ridotte almeno del 50%.

Quasi la stessa percentuale (il 37%) usufruirà della cassa integrazione straordinaria messa a disposizione dal decreto Cura Italia. 35 organizzazioni la attiveranno per meno di 10 dipendenti, 9 organizzazioni tra 10 e 20 dipendenti e solo 4 organizzazioni la metteranno in campo per più di 20 dipendenti. Molte organizzazioni dichiarano di stare valutando in queste ore l’opportunità della cassa integrazione e il 38% nel frattempo ha chiesto ai dipendenti di usufruire di ferie/permessi/congedi parentali in questo periodo. Il 35% delle ONG ha anche dovuto rallentare e/o interrompere le attività di progettazione in corso soprattutto a causa delle scadenze troppo ravvicinate e l’impossibilità di fare missioni e trasferte all’estero.

C’è chi guarda già alle misure da mettere in atto per superare la situazione di crisi; oltre la cassa integrazione le organizzazioni pensano di richiedere anticipazioni bancarie su contributi già stanziati (18%), apertura di nuove linee di credito (14%) e licenziamenti/interruzione di collaborazioni (14%) non appena scadrà il blocco di due mesi prescritto dal decreto Cura Italia.

 


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  1. Amici cari, ma come si fa a lanciare un messaggio così negativo, che presenta le Ong e Osc attive nella cooperazione internazionale “spaventate” dagli orizzonti di crisi e, “per la quai totalità obbligate a sospendere e/o ridurre le proprie attività in Italia e all’estero a causa della pandemia” e per un 65% obbligate a “bloccare o rimandare più del 50% della propria operatività” mentre “solo un’organizzazione su 10 dichiara di non aver dovuto rallentare o interrompere gli interventi”? Si tratta di una comunicazione che, volenti o nolenti, esprime questo messaggio: “le Ong sono spaventate e per la quasi totalità sospendono le proprie attività”. Bravi gli amici di Open Cooperazione. Fare un’indagine e tirare le conclusioni richiede forse qualche sapere in più, altrimenti ai dati si può far dire tutto e il contrario di tutto.
    Vediamo quanto avete pubblicato in Open Cooperazione sulla base dei dati (un po’ scombinati) raccolti dalle Ong e Osc di cooperazione allo sviluppo:
    “Il 90.9% ha chiuso le attività in Italia”. C’era qualche dubbio, se il 95% delle attività esterne in Italia sono state chiuse? A questo dato viene affiancato il seguente: “Il 40% ha avviato attività in Italia legate al coronavirus”. Ah!
    Sorvoliamo sui “progetti sospesi/rimandati”, dato che non si tratta della stessa fattispecie e non ne viene specificata in modo preciso la ragione.
    Se il 40% delle organizzazioni ha intanto avviato attività in Italia legate al Covid19, ben il 54,5% ne ha avviate all’estero (attività di informazione diffusa 75%, supporto alle strutture sanitarie 38%, distribuzione di beni alimentari 17%, educazione e formazione alla prevenzione 10%, cure ai contagiati 5%).
    E’ quindi evidente che la maggior parte delle operatrici e degli operatori impegnati nella cooperazione sono rimasti nei paesi e con le comunità partner. I dati di Open Cooperazione riferiscono che solo il 13,2% delle organizzazioni ha rimpatriato il proprio personale italiano; il 30,7 ne ha rimpatriati “solo alcuni” (che vuol dire?), il 33,3% nessuno mentre il 22,8% potrebbe provvedere al rimpatrio a seconda dell’evoluzione (solo il 22,8%? Le altre lascerebbero il proprio personale in balia di qualsiasi evento?).
    I dati prodotti cosa dicono quindi, a mio modesto avviso?: che le Ong e Osc di cooperazione e il loro personale rimangono per la grande parte fedeli alla loro mission e ai loro valori, anche avviando nuove attività in Italia. Lo stesso vale per quanto riguarda l’estero, dove i partenariati costruiti e i nuovi bisogni portano a rimanere presenti e vicini alle comunità in cui si sta operando, con grande attenzione certo, e con piani di gestione del rischio, che riguarda tutti, cooperanti e comunità partner. Un messaggio ben diverso da quanto esplicitato da Open Cooperazione e purtroppo facilmente recepito all’esterno. Peccato. Non si è trattato infatti di comunicazione interna, come sarebbe stato forse utile , ma di comunicazione pubblica malauguratamente sbagliata. Non si è trattato infatti di comunicazione interna, come sarebbe stato più utile, dato che quei dati servono a noi Ong/Osc, ma di comunicazione pubblica malauguratamente sbagliata.

    1. Caro Nino, mi spiace che tu abbia dato ai dati e al post di accompagnamento una lettura così negativa e che ti sembra lontana dalla realtà.
      A noi sembra che il titolo, e anche il contenuto, dica esattamente quello che sta succedendo, ovvero che “Le ONG scendono in campo per l’emergenza Covid-19, ma gli orizzonti di crisi spaventano le organizzazioni”. Hai elementi diversi da questi? Io lavoro in questo mondo e sento ogni giorno decine di colleghi, quelli operativi in italia e all’estero, e mi sembra che ci siano grandi preoccupazioni, forse più forti di quelle che sono emerse dall’indagine.
      Però se ho una lettura distorta, vi prego datemi altri elementi, evidentemente io ho sentito solo quelli preoccupati.
      Posso essere d’accordo con te che alcune domande non siano state ideate nel modo corretto, esempio : la prima sulle attività bloccate o rimandate … effettivamente non è la stessa cosa. Moltissimi hanno rimandato attività ma non le hanno bloccate. Per questo viene fuori un dato così alto
      Però rileggendo il post capisco che le ONG si sono attivate, che la maggior parte dei cooperanti sono sul campo vicino alle comunità… cioè ne traggo un messaggio positivo e incoraggiante.
      Ma ditemi voi come lo avete letto, ci è sicuramente utile per migliorare e per riuscire a interpretare al meglio il sentito del settore.
      Abbracci Elias

  2. Amici di Info-Cooperazione,
    grazie ma anche io non concordo sul taglio negativo e ‘pauperistico’ delle vostre conclusioni e del titolo, che focalizzano l’attenzione piu’ sugli aspetti negativi che su quelli positivi, tutto sui rischi e nulla sulle opportunita’. Se dobbiamo fare un’analisi facciamola tutta, anche quindi sulle prospettive positive- riflettendo l’orientamento al futuro ed il grande coraggio e fiducia espresso dalle nostre organizzazioni. Proprio ieri ad es. la Social Change School ha tenuto un “mini-summit” informale ed amicale con i dirigenti di alcune delle principali ONG (tra cui Save the Children, MSF, Action Aid, Oxfam, Water Aid e altre), da cui sono emersi moltissimi elementi positivi di resilienza, di apprendimento, di opportunita’ anche di possibilita’ di cambiare le modalita’ di relazione con i donors. Consideriamo anche che molte organizzazioni hanno importi pregressi da incassare, hanno fondi di emergenza accantonati, progetti in qualche caso in stand by ma che verranno presto ripresi. E ci sara’ piu’ bisogno di intervento, – anche sulla prevenzione-ci saranno piu’ fondi, piu’ necessita’ di professionisti efficaci-efficienti all’altezza, di ‘Impact Design’. Oltre ai fondi incrementati dei governi, dell’UE e delle Agenzie Internazionali, le grandi Fondazioni Filantropiche faranno le massime erogazioni della loro storia. Le organizzazioni, che gia’ sono attive nei paesi membri, vedranno rafforzato tale impegno nei loro propri paesi, anche con positive ricadute economiche sia sui fondi istituzionali che nel fundraising. Da oltre 20 anni mi batto per contribuire a far uscire tanti operatori del settore da un mindset di ‘scarsita’ per supportare la visione delle opportunita’, diamoci tutti una mano in questo. Buon lavoro a tutti, e grazie comunque per il vostro sempre prezioso impegno.

  3. Cari colleghi,
    non posso che far trasparire il mio disaccordo con l’immagine che questo articolo consegna a chi lo legge. Info-cooperazione ha svolto e svolge un ruolo importante come punto di approdo e confronto sia per gli operatori del settore sia per le persone che vogliono affaciarsi a questo mondo. Un sforzo che ha ricevuto da parte mia sostegno e supporto in altre circostanze. Quello che date qui oggi però, è un panorama di paura che a mio avviso non corrisponde alla realtà. Sappiamo bene, sopratutto noi cooperanti, che dalle crisi emergono rischi ( e molte preoccupazioni) ma anche tante opportunità e possibilità di trasformazione. Il comparto delle ONG e Osc italiane, grazie ad anni di esperienza internazionale, professionalità e capacità interpretativa della situazione, si sta adattando velocemente a questo nuovo contesto di emergenza globale giocando fin da subito un ruolo che rispecchia valori e principi del nostro settore. Adattando interventi, muovendo risorse, creando nuove partnership: il settore si muove ed e attiva la sua resilienza di fronte all’impatto economico che ha colpito il Paese, offrendo il suo contributo tecnico e umano per affrontare la crisi in tutte le sue sfumature. Non è immune alla riprogrammazione delle attività che ha colpito tutti i settori ma questo non gli impedisce di trovare nuovi modi, creativi e innovativi, per seminare solidarietà, speranza, voglia di futuro. Questo è ciò che riscatto dal titolo che avete usato “Le ONG scendono in campo per l’emergenza Covid-19”
    In dati sono importanti. La loro lettura è certamente necessaria ma se vogliamo trarre da questi delle lezioni, la loro analisi non può essere priva di un approccio che sottolinei gli aspetti positivi.
    Ribadisco che non è lo stesso comunicare “Nel settore” e comunicare “Il settore”. Il rischio è che il pubblico in generale possa interpretare i dati forniti con una negatività che nuoce a tutti e che non rispecchia lo sforzo, il sacrificio, la sensibilità e la professionalità con la quale gli operatori e le operatrici stanno affrontando questa emergenza.

    Vi abbraccio, sperando che stiate tutti bene.
    Diego Battistessa

    1. Grazie Diego per il commento, non credo che il quadro sia bianco o nero. Non stiamo contrapponendo gli ottimisti a i pessimisti. Stiamo cercando di raccontare che insieme alla reazione positiva ci sono preoccupazioni serie per il futuro. Mi sembra strano che tu non le percepisca o non ne abbia notizia da colleghi e altre organizzazioni. O forse anche le aziende italiane sono inutilmente preoccupate per il futuro? La previsione di -6% del PIL è un brutto incubo e basta? Siamo tutti consapevoli che ci sono forze positive e tanta energia che useremo per reagire….ma dire che siamo tutti sereni e tranquilli… no so..
      comunque grazie per il commento
      saluti
      ELias

  4. Io credo che davanti a una situazione del genere la reazione delle organizzazioni non è sicuramente la stessa. Ci sono ONG strutturate e abituate a gestire l’emergenza che probabilmente come dice il dott. Sergi non sono granché preoccupate anche in termini di tenuta economica. Però la cooperazione è fatta anche da decine di entità piccole e fragili che potrebbero avere un colpo letale da questa situazione. Non a caso la portavoce del Forum del terzo settore ha dichiarato alcuni giorni fa che questa crisi potrebbe realisticamente mettere in ginocchio l’intero settore. Questo per dire che non trovo particolarmente pessimista la lettura dei dati del sondaggio. Chi è che oggi non è preoccupato per il futuro? Perchè è così problematico mettere in luce le criticità e le preoccupazioni? Grazie per lo spazio che date a questi approfondimenti. Alessio

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