Il nuovo rapporto “State of World Population 2025” dal titolo “The Real Fertility Crisis” recentemente pubblicato dal Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA) smonta le narrazioni semplicistiche che dipingono l’attuale crisi demografica come un problema di “culle vuote” o, al contrario, di “sovrappopolazione”. Secondo il documento, la vera emergenza non sta nei numeri, ma nella crescente difficoltà che milioni di persone incontrano nel realizzare liberamente e consapevolmente le proprie aspirazioni riproduttive. L’UNFPA parla esplicitamente di “crisi di autonomia riproduttiva” – una crisi di diritti negati, disuguaglianze strutturali e condizioni sociali che ostacolano l’autodeterminazione.
Un concetto centrale: l’autonomia riproduttiva
La “reproductive agency” è la possibilità concreta di scegliere se, quando e con chi avere figli. Questo presuppone non solo accesso a informazioni corrette e servizi sanitari, ma anche un ambiente che renda tali scelte realizzabili. Il rapporto include dati di un’indagine condotta con YouGov in 14 Paesi rappresentativi di un terzo della popolazione globale: il 23% degli intervistati ha avuto meno figli di quanti desiderasse, mentre il 33% ha vissuto almeno una gravidanza indesiderata. In quasi la metà dei casi, chi non è riuscito a diventare genitore quando lo desiderava ha poi rinunciato del tutto all’idea.
Le barriere principali: economia, salute, genere e cultura
Tra gli ostacoli più citati emergono i limiti economici (39%), la mancanza di assistenza all’infanzia (21%), l’instabilità lavorativa (26%) e l’accesso inadeguato alle cure per la fertilità. Le condizioni abitative precarie, le discriminazioni di genere, la mancanza di supporto sociale e l’assenza di partner coinvolti sono ulteriori fattori che incidono. La disuguaglianza di genere rimane un nodo strutturale. In nessuno dei Paesi analizzati meno del 17% delle donne ha riportato pieno controllo sulle proprie decisioni riproduttive. In media, il 44% delle donne non ha la possibilità di decidere autonomamente in materia di rapporti sessuali, uso della contraccezione o accesso ai servizi sanitari.
Politiche per la natalità: tra coercizione e inefficacia
Molti governi, nel tentativo di “stimolare” la natalità, stanno adottando politiche pro-nataliste che vanno dall’offerta di incentivi economici alla limitazione del diritto all’aborto. Tuttavia, l’UNFPA avverte: senza affrontare le cause strutturali, questi approcci rischiano di essere non solo inefficaci, ma anche dannosi. Alcune misure – come i bonus alla nascita o le campagne di propaganda sulla fertilità – possono risultare stigmatizzanti e persino controproducenti, spingendo le donne a soluzioni drastiche come sterilizzazioni precoci.
Crisi economica e precarietà: il vero deterrente alla genitorialità
In molti casi, la scelta di non avere figli è legata alla precarietà economica. Mancanza di sicurezza nel lavoro, salari bassi, alti costi della vita e accesso limitato a case adeguate rappresentano ostacoli significativi. Le famiglie giovani, le donne e i migranti sono particolarmente vulnerabili. In questo contesto, l’UNFPA richiama alla necessità di una riforma delle politiche sociali e del lavoro, in grado di garantire reddito, accesso a servizi, flessibilità e sicurezza.
Il rapporto analizza anche la deriva securitaria che sta interessando alcuni Paesi, dove il calo della fertilità viene interpretato come una minaccia alla sicurezza nazionale o all’identità culturale. In questo clima, la pressione sulla popolazione femminile affinché “produca più figli” assume toni inquietanti. L’UNFPA invita invece a spostare il focus dalla “sicurezza demografica” alla “resilienza demografica”: costruire società che sappiano affrontare i cambiamenti demografici con strumenti basati su diritti, dati affidabili e inclusione. Concetti chiave ribaditi anche durante la presentazione del rapporto che si è tenuta alcuni giorni fa a Roma grazie all’organizzazione della ONG AIDOS.
Raccomandazioni politiche: un’agenda dei diritti
UNFPA propone un’agenda articolata in cinque assi d’intervento:
- Accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva: inclusi servizi per la fertilità, aborto sicuro e contraccezione;
- Educazione sessuale completa: non stigmatizzante, aggiornata e scientificamente corretta;
- Politiche di congedo parentale equo: che coinvolgano uomini e donne e promuovano la condivisione delle responsabilità familiari;
- Sostegno all’occupazione giovanile e femminile: con investimenti in lavoro dignitoso e flessibilità lavorativa;
- Violenza di genere: contrastare ogni forma di coercizione, abuso o discriminazione, che limiti la possibilità di scelta delle donne.
Esperienze locali e buone pratiche
Il rapporto presenta anche esempi di buone pratiche. In Kenya, il programma Y-ACT ha coinvolto i giovani nella definizione delle politiche sanitarie riproduttive a livello locale, migliorando l’accesso ai servizi per adolescenti. In Moldavia, il governo ha sostituito le vecchie politiche di “sicurezza demografica” con un piano per il benessere della popolazione basato su dati e diritti. E in India, grazie a incontri comunitari come i Raatri Chaupals, molte donne hanno potuto discutere apertamente delle proprie scelte riproduttive e trovare sostegno nelle loro comunità.
Il messaggio finale di UNFPA è chiaro: la crisi demografica non si risolve contando i figli, ma garantendo alle persone la possibilità di scegliere. Come ha dichiarato la Direttrice esecutiva Natalia Kanem: “Chiediamo al mondo di smettere di speculare sui numeri e iniziare ad ascoltare ciò che vogliono davvero le persone”. Un appello globale alla responsabilità collettiva che l’agenzia delle Nazioni Unite lancia in un momento di grande instabilità a seguito degli attacchi che, in particolare, l’amministrazione americana ha messo in campo dopo l’insediamento del presidente Trump.
Negli ultimi mesi infatti, UNFPA si è trovata ad affrontare una crisi senza precedenti a causa dei drastici tagli ai finanziamenti, in particolare da parte degli Stati Uniti. Questa decisione, giustificata dall’amministrazione Trump attraverso il ricorso al Kemp-Kasten Amendment, ha portato alla sospensione di quasi tutti i contributi statunitensi futuri e alla rescissione di oltre 40 sovvenzioni umanitarie già in corso, per un totale di circa 377 milioni di dollari. Gli Stati Uniti erano il maggiore donatore dell’UNFPA, fornendo in media 180 milioni di dollari l’anno e coprendo, solo per il 2025, il 35% del budget dell’agenzia in paesi come il Sudan e il 72% in Afghanistan. Il taglio improvviso ha avuto un impatto decisivo sulla capacità dell’UNFPA di sostenere servizi essenziali in contesti di crisi: solo in Afghanistan, i fondi per oltre 400 ostetriche sono stati cancellati, lasciando mezzo milione di donne senza assistenza qualificata durante la gravidanza e il parto. In Sudan, il sostegno a circa l’80% delle strutture sanitarie è stato interrotto e la formazione di nuove ostetriche è stata bloccata.
Egregio Direttore,
le chiedo la possibilità di replicare all’ articolo https://www.info-cooperazione.it/2025/06/la-vera-crisi-della-fertilita-oltre-le-statistiche-servono-diritti-e-liberta/
Secondo il nuovo rapporto dell’ UNFPA, agenzia per la salute sessuale e riproduttiva, le cause della denatalità sarebbero le difficoltà economiche, la mancanza di lavoro, il costo della vita, la paura delle guerre, delle crisi climatiche e le disuguaglianze. Ovvero, la mancanza di libertà di scelta; ovvero la ricerca di autonomia riproduttiva. Quindi, i governi che sollecitano una ripresa demografica con incentivi economici rischiano di violare questa libertà…
Secondo una indagine svolta recentemente, circa la metà delle coppie interpellate avrebbero voluto più figli, ma non hanno potuto accoglierli a causa di tali ostacoli. Onestamente, una volta riconosciute come attuali le difficoltà economiche e la precarietà del lavoro, credo anche che, andando indietro con la memoria queste cause siano sempre esistite. Pensiamo agli anni 50 e 60, quando i nostri genitori e nonni emigravano anche nell’ altro emisfero per andare a cercare un impiego eppure ciò non gli ha impedito di avere numerosissimi figli, e lo stesso accadeva persino in tempo di guerra! Si lamenta la mancanza di condizioni favorevoli ma si sollecita la rimozione di ostacoli che impediscono di fare scelte autentiche…Cosa c’è di più autentico che accettare la vita, una volta che è in arrivo? Se una coppia si ama sinceramente cosa potrebbe impedirle di accogliere il frutto del suo amore? Forse la possibilità di una promozione sul lavoro? O un viaggio all’ estero pianificato da tempo? Certo, parliamo di persone responsabili che hanno deciso di costruire una famiglia e non di gente che ha deciso di vivere la vita così come viene…che, giustamente, chiede l’accesso ai servizi per la salute riproduttiva, cioè avere diritto di vita e di morte sul proprio futuro. Dobbiamo purtroppo prendere atto che decenni e decenni di rivoluzione sessuale hanno prodotto frutti deleteri e se ne vedranno sempre più le conseguenze sulla società.
La sacralità della persona dall’istante del concepimento fino alla sua morte naturale, mai come in questo momento viene attaccata e messa in discussione. Se qualcuno può accanirsi contro un bambino quando si sta formando nel ventre materno ed è indifeso, cosa gli impedisce di farlo contro un anziano che, ormai fragile e improduttivo è diventato per lui un peso? Ecco perché non resta che affidarsi al contributo dell’ immigrazione quale risorsa per affrontare il calo della popolazione! Noi del Comitato “Prolife Insieme” invece, non perdiamo la speranza ed esortiamo chiunque abbia conservato ancora un barlume di Umanità ad affermare dovunque il valore immenso della Vita e la sua difesa, quale unica ricchezza per il futuro! Cordialmente.
Maria Cariati per il Comitato Prolife Insieme