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Il riconoscimento dello Stato di Palestina anima l’Assemblea delle Nazioni Unite

Ieri l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York è stata teatro di un evento storico e simbolico: molti Paesi hanno ufficializzato il riconoscimento dello Stato di Palestina. Regno Unito, Canada, Australia, Portogallo, Francia e altri hanno scelto di aderire a un riconoscimento finora prevalentemente appannaggio di Stati arabi, africani e latinoamericani. Ad oggi, su 193 Stati membri delle Nazioni Unite, 152 Paesi riconoscono formalmente la Palestina come Stato sovrano e indipendente, includendo il Vaticano e alcuni territori in via di riconoscimento. Questo ammonta a poco più del 78% dei membri ONU.

Il primo riconoscimento risale al 1988, quando Yasser Arafat, allora leader dell’OLP, annunciò unilateralmente l’indipendenza palestinese. Da allora, è seguito un crescente numero di adesioni, specialmente da parte di paesi del Medio Oriente, Africa, Asia e America Latina. Negli ultimi anni, però, il riconoscimento da parte di Stati occidentali è stato più limitato, per via soprattutto delle pressioni geopolitiche degli Stati Uniti e di Israele.

L’ONU ha riconosciuto ufficialmente la Palestina come Stato non membro con status di osservatore permanente il 29 novembre 2012, con la risoluzione 67/19 dell’Assemblea generale. Questo riconoscimento, votato con 138 sì, ha aggiornato lo status della Palestina da “entità osservatrice” a “Stato osservatore non membro”, permettendole un ruolo diplomatico più formale all’interno delle Nazioni Unite, equiparabile a quello della Santa Sede.

Nel 2014, la Svezia fu il primo Paese europeo occidentale a riconoscere la Palestina. Il massacro in atto a Gaza ha recentemente convinto anche Norvegia, Spagna, Irlanda, Slovenia, Regno Unito, Canada, Australia e Portogallo, Francia, Belgio, Lussemburgo, Malta e altri.

Il riconoscimento dello Stato di Palestina non è solo un gesto simbolico, ma ha importanti implicazioni politiche e diplomatiche:

  • Rafforza la legittimità internazionale della Palestina come soggetto sovrano, di fronte alla comunità globale;
  • Rivendica il diritto all’autodeterminazione e al governo autonomo di un popolo finora sotto occupazione militare e amministrativa;
  • Offre una spinta agli sforzi diplomatici per una soluzione a due Stati al conflitto israelo-palestinese;
  • Indirizza una pressione politica su Israele affinché accetti negoziati seri basati su coesistenza e diritti condivisi;
  • Sposta l’asse geopolitico, chiamando a una revisione delle alleanze tradizionali, specie in Europa e nel G7.

Questa dinamica si colloca all’interno del più ampio contesto di crescente tensione in Medio Oriente, aggravata dalla guerra a Gaza e dal protrarsi della crisi ucraina, che stanno modificano l’equilibrio di influenze globali e locali.

I Paesi che non riconoscono la Palestina

Non tutti gli Stati hanno aderito a questo processo. Tra i principali oppositori vi sono:

  • Gli Stati Uniti, storici alleati di Israele;
  • Paesi europei come Germania, Italia, Olanda, Austria e Grecia;
  • Alcuni Stati del Pacifico e America Latina;
  • Alcuni Paesi che scelgono l’astensione o la neutralità diplomatica.

La posizione dell’Italia

Fino ad oggi, l’Italia ha mantenuto una posizione molto cauta, in linea con la sua tradizione diplomatica che privilegia una soluzione negoziata tra Israele e Palestina. La posizione ufficiale italiana, come espresso da diversi Governi e dal Ministero degli Esteri, sostiene la soluzione a due Stati, seguendo le risoluzioni Onu e gli accordi internazionali. Il governo Meloni ha evitato in ogni modo il dibattito sul riconoscimento della Palestina e sulle sanzioni a Israele per mantenere un forte allineamento con gli Stati Uniti e la Germania.

Tuttavia, la situazione geopolitica globale e regionale e le crescenti pressioni dell’opinione pubblica italiana spinge obbligatoriamente il governo verso una revisione della postura italiana. Non aderire al riconoscimento rischia infatti di isolare l’Italia rispetto a un movimento globale che punta a riconoscere i diritti fondamentali dei palestinesi e a legittimare la loro autodeterminazione. Senza il riconoscimento della Palestina non sarebbe più credibile il sostegno al principio dei due Stati.

A insistere su questo tema è stata l’Alta rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Kaja Kallas, che in conferenza stampa al termine della riunione informale dei ministri degli Esteri Ue a margine dell’Assemblea Onu ha dichiarato – “Se parliamo di una soluzione a due Stati, allora devono esserci due stati, ed è per questo che gli stati membri hanno preso provvedimenti per riconoscere” lo Stato palestinese “in modo che ci sia un altro Stato, oltre a Israele. Spetta agli Stati membri riconoscere o meno qualsiasi Paese. Ma penso che oggi ci siano diversi Paesi che si stanno facendo avanti, il che fa sì che la maggior parte dei Paesi europei riconosca la Palestina”, ha spiegato”.

Con la nuova ondata di riconoscimenti da parte di Paesi chiave del G7 e dell’Unione Europea, l’Italia sarà obbligata a prendere in mano questo dossier per non perdere il proprio ruolo diplomatico e la sua credibilità come Paese promotore di diritti e stabilità in Medio Oriente e nel Mediterraneo.

Il dibattito all’Assemblea delle Nazioni Unite

La prima occasione nella quale l’Italia dovrà giustificare davanti alla comunità internazionale il suo posizionamento è proprio l’Assemblea delle Nazioni Unite. Giorgia Meloni parteciperà oggi alla cerimonia di apertura del dibattito, che sarà inevitabilmente dominato dai temi della guerra in Ucraina e di quella a Gaza. Il suo intervento è previsto per mercoledì sera.

A seguire, venerdì, sarà il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a intervenire. Secondo quanto dischiarato dal suo portavoce il premier israeliano presenterà all’Assemblea Generale “la verità di Israele” e la sua “visione di pace reale: la pace attraverso la forza”.

(fonte immagine ISPI)

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