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Dietro le quinte della riforma, intervista a Emilio Ciarlo

Negli ultimi anni abbiamo seguito da vicino il dibattito sulla riforma della cooperazione che ha portato alla nuova legge 125/2014 e poi descritto le tappe che dovrebbero portare all’attuazione del nuovo testo. Gli scenari futuri sono ormai sempre più chiari; ma cosa cambierà veramente nella realtà attuale della Cooperazione Italiana? Come impatterà la nuova Agenzia sul lavoro delle ONG e dei nuovi attori che la legge riconosce nella cooperazione internazionale? Per capire meglio cosa c’è dietro la nuova legge e quali effetti potrà produrre nei prossimi mesi abbiamo intervistato Emilio Ciarlo, Consigliere politico del Viceministro degli Affari Esteri, Lapo Pistelli. Da tempo dirige il Dipartimento Internazionale del Partito Democratico, è esperto di politica estera e relazioni internazionali e negli ultimi mesi si occupa in particolare di cooperazione, o meglio “nuova cooperazione” che lui definisce “Purple cooperation”. Ecco cosa ci ha raccontato

 

Il quadro internazionale e quello che emerge dalla nuova legge italiana sulla cooperazione sembra orientato fortemente alla dimensione economica, laddove per “sviluppo” si intende sempre più “crescita”. Sembra quasi che la ricetta per sconfiggere la povertà coincida con l’ingresso a tutti gli effetti del sud del mondo nel sistema economico globale. E’ questo l’orizzonte della cooperazione allo sviluppo del futuro?

L’orizzonte della cooperazione è quello disegnato nei primi articoli della nuova legge: sradicamento della povertà e riduzione delle disuguaglianze, promozione dei diritti umani e dell’eguaglianza di genere, sostegno alla democrazia liberale e alla costruzione dello stato di diritto. Si tratta di un’agenda non “economica” ma di promozione umana. La nuova cooperazione deve diventare adulta, non immaginarsi come un’oasi di pratiche alternative al mondo cattivo ma impegnarsi a migliorare quello che non va. Se è vero che l’economicismo, la finanziarizzazione dell’economia, la riduzione dell’idea di crescita all’incremento del PIL sono dimensioni da superare sarebbe una presunzione ideologica negare come l’affermazione della libertà personale nell’economia, la democrazia, la globalizzazione siano state forze che hanno migliorato le condizioni di vita di milioni di persone. Il tema del futuro è ora la distribuzione più equa della ricchezza, la garanzia dell’accesso al diritto alla salute e all’istruzione e la sostenibilità ambientale. In questa sfida vorrei che la cooperazione avesse la forza politica ed economica per proporre, sperimentare e mostrare una nuova forma di “economia della promozione umana” sulla quale far convenire agenti pubblici e privati, unendo cultura, educazione, lavoro, diritti, impresa e comunità secondo il modello europeo e italiano.

 

Lei è la persona che più conosce il percorso normativo della riforma della cooperazione ed è attualmente impegnato in prima persona nella stesura dei regolamenti attuativi della legge 125/2014 e dello statuto della Agenzia per la Cooperazione. A che punto sono i lavori rispetto alla tabella di marcia descritta dalla legge? Ci dice due innovazioni rilevanti che volete realizzare attraverso l’Agenzia?

Per la verità è il Ministero degli Esteri che sta scrivendo i testi dei regolamenti che sono a buon punto. Il regolamento per l’Istituzione del Consiglio nazionale della cooperazione è in dirittura di arrivo e anche per lo Statuto si dovrebbe rispettare la tabella di marcia nonostante i vari passaggi necessari tra Corte dei Conti e Parlamento. L’Agenzia dovrebbe puntare su quattro obiettivi: intercettare maggiori risorse economiche europee, anche grazie al ruolo di Cassa depositi e prestiti, sburocratizzare le procedure e aumentare la qualità dell’azione con l’innesto di nuove risorse umane ancora più specializzate, costruire partnership con il privato profit e no profit (fondazioni, imprese), garantire un dialogo strutturato tra gli stakeholder pubblici e privati. Lo si può fare recuperando molto del valore e dell’esperienza che la DGCS e il privato sociale hanno accumulato in questi anni.

 

Il concetto e il ruolo delle ONG sta evolvendo e sembra destinato a cambiare significativamente nei prossimi anni. Le nostre istituzioni, anche all’interno del nuovo quadro normativo, cosa si aspettano dalle Organizzazioni Non Governative? Qual è il contributo che dovrebbero apportare al sistema italiano della cooperazione?

Il cambiamento è parte di quella trasformazione verso un'”economia della promozione umana” di cui parlavo. Mi aspetto che le ONG completino la loro trasformazione, già in atto da tempo, dal “non essere qualcosa” (non governative) ad attori di sviluppo e solidarietà sempre più efficienti, stimolanti e moderni. Il loro cambiamento si dovrà incrociare con la legge di riforma del Terzo settore, le Ong usciranno dalla nicchia specializzata del vecchio “terzomondismo”, dovranno avere standard di trasparenza, accountability, “professionalità” più esigenti e magari si sposteranno sempre di più dall’area dell’associazionismo volontario a quella dell’impresa sociale. Sono cambiamenti già in itinere e che garantiscono al sistema della cooperazione una maggiore coerenze ed efficacia degli aiuti, realizzano una forte sussidiarietà tra pubblico e privato no profit, autorizzano il proporsi della società civile internazionale come interlocutore preparato nella definizione delle strategie politiche di sviluppo.
La sfida, però, è anche non perdere la specificità italiana di innovazione sociale e partecipazione reale e diffusa così caratteristica delle nostre ONG che animano parrocchie, quartieri e città e coinvolgono migliaia di volontari. Occorrerà, in questo caso, valorizzare e rinnovare i partenariati territoriali, stimolare forme di progettualità in comune e rafforzare il legame delle organizzazioni più piccole con Comuni e Regioni.
A tutti si chiede ora di fare un passo ulteriore nello studiare e stimolare partnership con il provato profit, inventare percorsi di co-sviluppo basati su un’economia della promozione umana. Non aver paura ad andare oltre l’assistenza, il welfare e l’educazione, impegni ovviamente prioritari, verso un effettivo empowerment delle popolazioni sul piano dell’economia delle comunità.

 

Lei ha più volte parlato di “Purple Cooperation” riferendosi al nuovo modello di cooperazione allo sviluppo. Ci spiega meglio cosa intende?

È per l’appunto l’idea di una sinergia forte tra la cooperazione basata sui soldi pubblici e l’aiuto tradizionale (red cooperation), destinata ai low income countries e ai progetti di promozione del welfare di base (scuole, salute, infrastrutture), rossa perchè indispensabile e legata a emergenze ed esigenze ineliminabili, e la cooperazione che sempre più coinvolge i privati (profit e no profit) e che io chiamo “blue” mossa da motivazioni filantropiche (le fondazioni e le grandi charities internazionali) o da esigenze di marketing sociale o responsabilità sociale di impresa, a volte dalla volontà di investire sulla futura creazione di un mercato, sempre attenta allo sviluppo del settore privato e dell’ambiente imprenditoriale nel Paese partner. La fusione di rosso e blu dà vita a un nuovo colore della cooperazione il viola (purple). Se ci sta a cuore rendere autonomi i nostri partner e creare sviluppo attraverso “decent jobs” senza costruire un’eterna dipendenza dai nostri aiuti, non si può prescindere dal coinvolgimento del settore privato in Italia, per intercettare risorse, aumentare l’efficacia e promuovere il rispetto degli standard ambientali e sociali delle aziende che vanno all’estero, e nei Paesi partner dove il settore privato profit deve diventare motore dello sviluppo.
Uso un’espressione anglosassone anche per sprovincializzare la nostra azione, promuovere la nuova Agenzia e la nuova cooperazione come attore autorevole nello scenario internazionale accanto agli inglesi, agli svedesi, ai tedeschi, stimolare l’ambizione dell’Italia a dire la sua, dare ritmo e idee ai processi di co-sviluppo e alle strategie internazionali.

 

La legge prevede la decadenza dell’idoneità delle ONG che fino ad oggi era accordata dalla DGCS del MAE. Può spiegare concretamente come saranno individuate in futuro le organizzazioni “abilitate a lavorare nella cooperazione” ed “eleggibili” per gli strumenti finanziari e le risorse?

Viene riconosciuta la necessità di mantenere una certa specializzazione per le organizzazioni della società civile che operano nel campo della cooperazione internazionale e devono gestire fondi pubblici. Per facilitare la partecipazione ai bandi delle organizzazioni specializzate sarà compilato un elenco delle stesse sulla base di criteri stabiliti dal Comitato congiunto, il motore politico della nuova azione di cooperazione, costituito dai due direttori di Agenzia e Dgcs e dal Viceministro. Non sono in grado di dire quali saranno i criteri ma sarà un passaggio importante per verificare l’effettività dell’azione delle Ong così come per riqualificare l’elenco e concordare tra tutti i soggetti nuovi standard meno burocratici quanto si vuole, meno formalistici ma esigenti quanto a trasparenza, capacità professionale di gestione delle risorse, effettività e continuità nello svolgimento dei programmi di cooperazione.

 

A proposito di risorse, tutti gli operatori del settore concordano sul fatto che la DGCS non sia stata in grado fino ad oggi di gestire le risorse in modo trasparente, puntuale ed efficace. Nonostante la lenta inversione di tendenza degli ultimi anni la Cooperazione Italiana non ha una bella fama soprattutto con chi ci ha a che fare quotidianamente. In molti temono che l’Agenzia sarà organizzata in piena continuità con la DGCS e che ne erediterà le farraginose procedure. Ci può rassicurare?

Sia chiaro l’esigenza di un controllo attento sull’utilizzo delle risorse pubbliche, sempre ma in particolar modo di questi tempi, rimane una priorità. Le nuove leggi in materia di trasparenza, anticorruzione, appalti pubblici, razionalizzazione delle spese sono giusti capisaldi di una nuova Italia che deve ritrovare dignità, etica pubblica e mostrarsi all’esterno migliore degli altri. Il rispetto dei tempi nel trasferire le risorse per i progetti e nella gestione delle procedure comporterà un notevole esercizio di management delle pubbliche amministrazioni per rispettare standard obbligatori europei. La sfida è sostituire procedure inutilmente vessatorie, formalistiche e burocratiche con controlli più mirati alla sostanza. La legge parla di criteri innovativi di misurazione dell’impatto sociale, libera l’Agenzia dal pedissequo rispetto delle normative della contabilità di Stato e dalle procedure ossessive di controllo ragionieristico di carte e timbri. Questo però non potrà voler dire, in alcun modo, un allentamento del controllo su come vengono spesi i soldi dei contribuenti. Dovremmo per forza riuscire a rendicontare agli italiani quanto ha prodotto ogni singolo euro, riducendo il costo delle spese di amministrazione. Ne va della credibilità di tutti noi. Uno sforzo di trasparenza, organizzazione, standardizzazione e professionalità verrà chiesto all’Agenzia che dovrà dare l’esempio ma sarà richiesto a tutti gli attori, anche alle organizzazioni della società civile.

 

Lei conosce il nostro blog Info-Cooperazione? Cosa ne pensa? Ci può dare dei suggerimenti per il futuro?

Naturalmente conosco il vostro blog. Lo trovo utilissimo sul piano dell’informazione tecnica e specialistica che va dai bandi alle vacancies ma sono sicuro che, probabilmente con maggiori risorse, potreste diventare un punto di riferimento del dibattito sulle policies, sulle strategie dell’economia dello sviluppo e dei nuovi temi come quello dei public goods. Serve sicuramente in Italia un luogo che, con approccio moderno e non tardo ideologico, ci proponga idee, sollecitazioni e riflessioni su quello che sarà non tanto il futuro della cooperazione quanto il vero orizzonte della politica estera italiana.

 


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  1. L’idea che lo sviluppo delle Ong vada verso l’impresa sociale non mi convince proprio alla luce degli obiettivi non esclusivamente economici e assistenziali che si assegnano alla nuova cooperazione. La cooperazione delle Ong da vari decenni ha cercato la sostenibilità delle proprie azioni (non sempre riuscendoci, d’accordo!) e lo ha fatto promuovendo le capacità locali di creare lo sviluppo umano delle comunità e lo dovrà fare sempre di più in futuro e per questo non servono imprese, ma servono rapporti, partenariato, relazioni, molto più efficaci se prodotti da organismi radicati nel territori e votati a facilitare prima che al “fare”.
    Non saranno le imprese (sociali o profit) che garantiranno la sostenibilità, ma il sostegno all’empowerment locale ricercato attraverso le più svariate forme di relazione e sostegno.
    L’argomento è sicuramente da approfondire alla luce anche del dibattito internazionale sulla cooperazione, ma, se lo vorrà, la nuova legge ha in se le potenzialità per uscire dall’ovvio e qualificare la propria attività.
    giancarlo malavolti

    1. Ho trovato l’intervista al dott. Ciarlo molto interessante. Ritengo che la cooperazione italiana debba interrogarsi sul da farsi, senza mantenere posizioni troppo conservatrici al proprio interno. Il resto del mondo, e oltre ai paesi anglosassoni e scandinavi, penso anche alle azioni intraprese dai New Donor quali i Brics, si sta muovendo verso questo nuovo paradigma di intervento. D’altronde quasi 60 anni di Cooperazione “vecchio stile” hanno si prodotto molti risultati, ma non cambiato lo stato delle cose. Il grado di raggiungimento dei Millennium Development Goals, è lì a dimostrarlo.
      In un contesto in cui le risorse pubbliche sono sempre minori, e gli interventi sempre meno numerosi, ritengo che cercare nuove forme di finanziamento/ investimento sia indispensabile. Non demonizzerei a prescindere il vettore giuridico costituito dall’impresa sociale, in quanto mezzo d’azione, esso risulta neutro, sarà l’utilizzo che ne verrà fatto a connotarne le sfumature in un senso o nell’altro. Inoltre credo sia da superare la netta opposizione al profitto, che se regolato, e magari per legge reinvestito in loco (almeno una parte), potrebbe essere una buona opportunità di crescita e per il settore della cooperazione e per i paesi in cui verranno effettuate queste operazioni. E’ giusto cambiare, dopo decenni in cui il modello di cooperazione standard ha avuto i suoi pro, è arrivato il momento di riconoscere ai paesi in via di sviluppo la capacità di governare i processi economici che li riguardano. E’ un’opportunità di crescita collettiva, del settore, della responsabilità sociale delle imprese coinvolte, dei beneficiari, degli operatori. Non lasciamoci sfuggire questa occasione per rimanere ancorati a vecchie logiche d’azione.

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