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Conferenza di Addis Abeba, bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?

Si è conclusa la scorsa settimana nella capitale etiope la terza conferenza internazionale per il finanziamento allo sviluppo delle Nazioni Unite, che ha adottato l’Addis Abeba Action Agenda. L’obiettivo era quello di mobilitare le risorse per raggiungere nei prossimi quindici anni gli Obiettivi di sviluppo sostenibile che saranno adottati il prossimo settembre a New York in sede ONU. Dopo complicate negoziazioni, già in corso dall’inizio del 2015, si è arrivati sul filo del rasoio a un accordo che dovrebbe concretizzarsi nei prossimi 9 mesi. In pochi si dicono davvero soddisfatti dagli esiti del vertice e sottolineano che l’accordo mette in evidenza la centralità dell’aiuto allo sviluppo anche nell’agenda dei prossimi 15 anni. Molte di più le critiche e la delusione di chi si aspettava uno slancio compatto dei grandi del mondo davanti a obiettivi così importanti come la lotta alla povertà e la sicurezza alimentare.

 

La soluzione di compromesso raggiunta dalla conferenza di fatto non da garanzie sulle risorse che saranno effettivamente disponibili per finanziare l’agenda dello sviluppo globale. C’era già consapevolezza che il tema fiscale sarebbe stato il pomo della discordia ad Addis. La proposta di creare un organismo intergovernativo sulla cooperazione fiscale sotto l’egida dell’ONU, auspicata anche dalle organizzazioni della società civile e da numerosi Stati, non è passata. Le cosiddette nazioni ricche, in particolare gli Stati Uniti, Regno Unito e Giappone, sono state accusate di aver fatto lobby per bloccare questa proposta. Resterà per ora l’esistente comitato di esperti in sede OCSE che saranno indicati dai governi e nominati dal Segretario Generale dell’ONU, una mediazione dalla quale si è di fatto dissociato il gruppo del G77.

Il braccio di ferro delle delegazioni su questo tema mostra comunque che questo sarà il campo di battaglia della diplomazia mondiale nei prossimi vertici sullo sviluppo globale già a partire dai lavori di follow up di Addis Abeba. Certo, vedere le cancellerie dei paesi “sviluppati” festeggiare il fatto che nulla è cambiato, non dice niente di buono anche per le future negoziazioni sugli SDGs e sul clima.

 

Alla conferenza c’era anche il premier italiano Matteo Renzi che nella sua giornata di partecipazione al summit si è impegnato per un aumento di risorse che permettano all’Italia di diventare quarto donatore tra i Paesi del G7 nel 2017, l’anno a Presidenza italiana del vertice. Stando agli ultimi dati OCSE vorrebbe dire passare in due anni dall’attuale 0,16% allo 0,25% in una proiezione che mantenga invariate le risorse messe in campo dagli altri sei Paesi. Un grande impegno accolto positivamente da tutte le rappresentanze delle ONG italiane, impegno che le ONG si impegnano a monitoreremo attentamente, a partire dalla prossima Legge di Stabilità, così afferma la portavoce dell’AOI in un comunicato sugli esiti del vertice.

Ma la partecipazione di Renzi ad Addis si è giocata anche molto sulla promozione di un nuovo ruolo dell’Italia nella cooperazione, quello che strizza l’occhio al settore privato e chiama in causa nuovi attori come la Cassa Depositi e Prestiti all’interno del nuovo quadro legislativo italiano in materia di cooperazione. E’ proprio il nuovo ruolo della CDP ad essere al centro di un side event organizzato dall’Italia. La Cassa opererà per valorizzare il blending tra risorse pubbliche e private, anche mobilitando risorse comunitarie. Potrà operare tramite  il finanziamento diretto di progetti di sviluppo, per favorire l’imprenditoria locale e la costituzione di imprese miste, mettendo a disposizione del settore pubblico e privato finanziamenti, strumenti di risk sharing e capitale di rischio.

 


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