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Il blending cambierà davvero il finanziamento dello sviluppo?

Fernando Frutuoso De Melo, direttore generale DEVCO della Commissione europea, ha sostenuto di recente che l’esperienza di fusione di fondi istituzionali pubblici e privati (il cosiddetto blending), come nuova politica dei finanziamenti per lo sviluppo, ha dimostrato ottimi risultati. De Melo, ospite a un evento organizzato dall’European Policy Centre (EPC), ha spiegato che con circa 2 miliardi di euro di fondi, la Commissione ha sfruttato poco più di 19 miliardi di euro dalle banche di investimento per lo sviluppo locale ed europeo, che hanno innescato a loro volta un investimento di circa 42 miliardi di euro. “Eccellente! Abbiamo avuto un effetto moltiplicatore di ben 20 volte. Vogliamo fare di più in questa direzione!” ha riferito.

 

Sono otto a oggi le “blending facilities” gestite dalla Commissione per sostenere gli investimenti del settore pubblico e privato e, secondo De Melo, hanno già ricevuto finora 2,2 miliardi di euro di sovvenzioni provenienti dal bilancio dell’Unione europea, dal Fondo Europeo di sviluppo (EDF) e dagli Stati membri e vengono combinati con prestiti di altre istituzioni finanziarie. Queste facilities coprono tutte le regioni in cui l’UE ha progetti in ambito di Cooperazione allo sviluppo e si riferiscono a specifiche strategie e partenariati regionali e nazionali con l’obiettivo di sostenere la politica dell’UE nelle aree e nei Paesi in questione. “Ci sarà bisogno di un periodo più lungo per effettuare una valutazione definitiva sull’efficacia della finanza mista e del nuovo paradigma”, ha aggiunto De Melo.

 

Nel frattempo la comunità internazionale e l’Unione europea in particolare, pongono sempre maggiore enfasi sulle opportunità offerte dal blending. La Commissione europea incoraggia questi sistemi di finanziamento almeno dal 2007, in realtà è solo dal 2012 che vi è stato un cambiamento sostanziale, con la creazione di una nuova piattaforma che ha proprio l’obiettivo di aumentare lo sviluppo di queste risorse miste, la “EU platform for Blending in external cooperation”. In molti a Bruxelles considerano il blending e gli altri meccanismi simili come parte di un cambiamento epocale nella politica dei finanziamenti dello sviluppo. Una svolta che sposterebbe l’attenzione dagli Aiuti pubblici allo sviluppo (APS) al settore privato e che tenderebbe allo stesso tempo a rimpiazzarli gradualmente.

 

Non tutti però sono così entusiasti dei meccanismi di blending.

 

La Rete Europea sul Debito e lo Sviluppo (Eurodad), una rete di 46 organizzazioni non governative (ONG) provenienti da 20 Paesi europei che lavorano su questioni relative al debito internazionale, ai finanziamenti allo sviluppo e alla riduzione della povertà, ha recentemente pubblicato un rapporto intitolato “Una fusione pericolosa?” che solleva molte domande relative a questo sistema di finanziamento innovativo. Tra queste, il timore che il blending possa sprecare le risorse già scarse degli APS, la mancata trasparenza dei suoi meccanismi di gestione e la mancanza di prove che accertino l’efficacia che il blending possa soddisfare realmente gli obiettivi di sviluppo prefissati; un punto, quest’ultimo, sollevato anche dalla Corte dei Conti dell’Unione europea.

 

Non solo. Altre riflessioni si sono poste in netto contrasto con le recenti dichiarazioni della Commissione europea e del funzionario De Melo. Lo stesso Parlamento europeo avrebbe sollecitato una maggiore trasparenza e “accountability” dei meccanismi di fusione dei fondi per garantire un impatto sociale reale sullo sviluppo sostenibile.

 

Gli fa eco l’UNCTAD, Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo, che, poche settimane fa ha pubblicato un Report in cui si evince una posizione piuttosto scettica sul sistema dei finanziamenti innovativi e sul blending. “Oggi i dibattiti sembrano ignorare la lunga storia della finanza mista, evitando di porre specifiche domande sul “Per chi, come e per quale scopo?”. Il rapporto afferma anche che “I mercati finanziari internazionali privati tendono a non investire in progetti chiave nei Paesi in via di sviluppo” citando “conseguenze pericolose per la stabilità finanziaria” provocati dai cosiddetti “hedge fund”, i fondi speculativi.

 

Sugli Aiuti pubblici allo sviluppo, la relazione afferma che, contrariamente a quanto sostenuto da De Melo, questi fondi continuano a svolgere un ruolo fondamentale nella mobilitazione delle risorse, in particolare di quelle a favore dei Paesi più poveri e vulnerabili, ma rileva anche che nonostante l’aumento negli ultimi dieci anni, la tendenza degli APS non sia stata affatto incoraggiante, attestandosi in media allo 0,29% del PIL del 2014, ben al di sotto del livello desiderato dello 0,7%.
Per Alex Izurieta, economista della divisione sulla Globalizzazione e Strategie di Sviluppo dell’UNCTAD, i partenariato pubblico – privato possono contribuire in una certa misura al finanziamento di progetti di sviluppo, ma di fatto non generano maggiori finanziamenti.

 

In Italia infine, un’altra posizione dubbiosa verso i nuovi finanziamenti innovativi, arriva dalla Fondazione Culturale Responsabilità Etica. Secondo il presidente Andrea Baranes i rischi di questo nuovo approccio sono abbastanza evidenti, “la Cooperazione potrebbe trasformarsi in uno strumento di promozione commerciale per le nostre imprese, in cui un privato con sempre maggiore potere economico e decisionale, riesce a indirizzare i fondi (sia quelli propri sia quelli pubblici) verso Paesi e progetti nei quali vede un ritorno economico, mentre magari proprio le nazioni più povere o i progetti più necessari vengono accantonati”. (a cura di Vincenza Lofino)

 


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