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Ecco perché le ONG dovrebbero prendere sul serio gli opendata

Negli ultimi anni si fa un gran parlare di opendata e accesso alle informazioni grazie alla crescente disponibilità di tecnologie e al lavoro del cosiddetto “opendata movement” che spinge perché governi e amministrazione pubblichino in rete i loro dati in modo trasparente. Anche in Italia il movimento per gli opendata si sta rafforzando ed è riuscito a segnare un primo punto importante, l’approvazione di un FOIA (Freedom of Information Act) da parte del governo italiano. Anche grazie alla campagna FOIA4ITALY, di cui Open Cooperazione fa parte, abbiamo finalmente una legge che obbliga la pubblica amministrazione a diffondere le informazioni, rendere pubblici i propri atti e favorire la trasparenza. I cittadini hanno il diritto di chiedere e ricevere ogni tipo d’informazione prodotta e posseduta dalle amministrazioni pubbliche che non contrasti con la sicurezza nazionale o la privacy.  

 

Ma il mondo degli opendata non riguardo solo i governi e le amministrazioni pubbliche: sono in tanti infatti a credere che anche il settore privato dovrà fare presto i conti con la crescente richiesta di trasparenza da parte dei cittadini. Tutto questo è ancora più rilevante quando parliamo del settore privato non-profit, quelle organizzazioni cioè che operano grazie a finanziamenti pubblici e donazioni di privati. Sono due principalmente i motivi per cui il terzo settore dovrebbe prendere sul serio gli opendata:

 

La prima ragione è abbastanza ovvia: come rappresentanti delle comunità con le quali lavorano, le ONG e le organizzazioni della società civile (OSC) più in generale sono destinate ad essere uno dei principali beneficiari degli opendata governativi. La comunicazione dei dati economici e dei numeri sulla povertà, sulla sanità e l’istruzione – per citarne solo alcuni – dovrebbe essere utile a coloro che lavorano per migliorare la fornitura di servizi pubblici e promuovere una maggiore responsabilità del governo e della politica sulla pianificazione dello sviluppo. L’assunto di base è che la disponibilità di dati aperti da verificare porterà a un maggiore impegno dei cittadini e una loro responsabilizzazione. Le ONG e le organizzazioni della società civile dovrebbero far parte di questo dibattito, dovrebbero fare azione di advocacy per garantire che i governi imparino la lezione della trasparenza e mettano i cittadini in condizione di sapere.

 

La seconda ragione per cui una ONG dovrebbe preoccuparsi di tutto questo è che prima o poi sarà chiamata essa stessa alla trasparenza. Per ora sono le organizzazioni multilaterali e i governi ad aprire la strada con iniziative internazionali pilota (Open Data della Banca mondiale, delle Nazioni Unite, ecc) che in alcuni casi sono diventate vere e proprie leggi (direttiva Open Government degli Stati Uniti). In pochi anni oltre 40 paesi hanno realizzato portali online per rendere pubblici i propri dati e ancora più numerosi sono quelli che hanno aderito alla Open Government Partnership.

 

Ma non sono solo i governi che stanno lavorando per diventare più aperti e trasparenti. Anche nel mondo filantropico si registrano le prime iniziative importanti e simboliche di grandi fondazioni, tra i primi a muovere passi decisi verso gli opendata sono state la Fondazione Hewlett e la Fondazione Gates, prima fondazione privata per condividere i dati con lo sviluppo Comitato per l’assistenza dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE / DAC). In alcuni paesi l’interesse negli opendata non è già più una scelta ma un obbligo. DFID, il Dipartimento del Regno Unito per lo Sviluppo Internazionale, per esempio, richiede ai suoi beneficiari (le ONG) di pubblicare i propri dati di trasparenza in formato IATI (International Aid Transparency Initiative).

 

Certo in Italia e in tanti altri paesi le ONG non sono ancora tenute a pubblicare i propri dati, ma seguendo la tendenza internazionale, questo obbligo potrebbe arrivare molto presto. Gli opendata non sembrano essere un trend destinato a svanire rapidamente, si tratta di un vero e proprio cambiamento nelle aspettative sul modo in cui le organizzazioni devono operare. Arrivare ad aprire completamente i propri dati è un processo lungo che per avere successo deve coinvolgere tutti i livelli delle organizzazione, dai dirigenti ai referenti sul campo, dalla governance al personale tecnico e amministrativo.

 

Per questo abbiamo lanciato Open Cooperazione, per favorire e facilitare questo processo e fare un primo passo, non solo simbolico, verso gli opendata, l’accountability e la trasparenza del settore della cooperazione.

 

Scopri come aderire a Open Cooperazione e pubblicare i dati della tua organizzazione in formato opendata.

 


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