Alcune settimane fa abbiamo pubblicato un approfondimento sul tema delle fusioni e delle alleanze nel settore non governativo italiano. Il post conteneva anche un questionario online proposto ai lettori con l’obiettivo di sondare l’opinione della community e analizzare quanto il mondo delle ONG sia pronto o aperto a valutare processi di questo tipo. L’interesse suscitato dall’articolo è stato confermato dalle cinquanta risposte del survey, la metà delle quali compilate da colleghi che ricoprono ruoli dirigenziali presso importanti organizzazioni del panorama italiano (direttori, presidenti o consiglieri). Il 42% dei rispondenti fa riferimento a organizzazioni medio-grandi con bilanci economici superiori ai 2 milioni di euro.
Un primo dato di contesto può essere già importante per un’analisi più complessiva, oltre il 60% dei partecipanti all’indagine percepisce il numero elevato di ONG presenti sul territorio nazionale come una criticità del sistema italiano di cooperazione piuttosto che come un valore aggiunto. Frammentazione e competizione per i pochi fondi a disposizione, fanno sì che molte organizzazioni lavorino sull’orlo della sopravvivenza e dedichino una grossa parte delle loro risorse ed energie a garantire la propria sussistenza.
Seppure il tema non appaia quasi mai nei dibattiti pubblici del nostro settore sono tantissime le organizzazioni che hanno già parlato internamente dell’opportunità di cercare sinergie (quasi il 72%), con tre aspettative principali: l’ottimizzazione delle risorse economiche, la possibilità di accedere a consessi internazionali ad oggi preclusi e il miglioramento delle capacità gestionali.
In ogni caso l’ipotesi di fusione o alleanza è percepita in modo positivo dal campione. Alla domanda diretta: “Credi che l’organizzazione per cui lavori potrebbe trarre beneficio da un’eventuale fusione/aggregazione con altre organizzazioni” oltre il 93% ha risposto positivamente e quasi il 60% non vede che ci sia il rischio di perdere la storia e/o l’identità della propria organizzazione.
Quest’ultimo dato è molto interessante, perché in un settore dove molte ONG hanno una storia pluridecennale, spesso fondate, rappresentate e guidate da una leadership molto forte e carismatica, con un senso di appartenenza anche territoriale molto radicato tra soci e stakeholders, la paura di perdere la propria identità, o anche semplicemente il proprio nome e brand, rappresenta un fattore di impedimento ed ostacolo a percorsi di aggregazione.
Non mancano infatti le preoccupazioni in questo ambito valoriale. Molti riportano la paura di perdere il contatto con il terreno o appunto, i valori identitari, ciò spinge a creare partnership o forti alleanze che possano essere durature e su diverse progettualità ma senza arrivare al punto finale di una fusione o di una acquisizione.
Il campione è spaccato in due sulla questione dell’allargamento del numero di organizzazioni che possano beneficiare di finanziamenti pubblici ai sensi della legge 125/2014. Il 51% dei rispondenti ritiene che Il numero delle organizzazioni dovrebbe restare limitato a quelle con comprovate capacità gestionali/operative/finanziarie. La restante parte crede che la riforma dovrebbe essere più inclusiva consentendo a più organizzazioni di operare con fondi pubblici e facilitando il loro rafforzamento gestionale/operativo/finanziario.
In ultima analisi comunque, che si tratti di forti alleanze o di fusioni, è evidente come ormai tutti, molto più di prima, indichino il lavorare insieme come una delle chiavi non solo per la sopravvivenza ma anche una leva per ottimizzare i costi, lavorare meglio e avere più impatto, ognuno con le proprie peculiarità
Quello che sembra emergere con chiarezza da questa prima survey è che esistono l’agibilità e gli spazi per andare avanti su questi temi nel panorama delle ONG italiane. Più difficile è capire quali e quante ONG siano davvero disposte a rinunciare ad un pezzo di sé, piccolo che sia, per un progetto e un percorso più ampio, che possa moltiplicare i benefici e creare una nuova strada.