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Più multilaterale per combattere le conseguenze di Covid-19, ma serve una concertazione nel sistema della cooperazione italiana

Nonostante i precedenti storici di Ebola e SARS, la pandemia del Covid-19 rappresenta una sfida completamente nuova per la comunità internazionale. Davanti a una possibile recessione economica, molti paesi dell’OCSE stanno lottando con le conseguenze in casa propria e l’emergenza sta già esercitando un’enorme pressione sulle finanze pubbliche. Questo avrà presto ripercussioni sulle priorità politiche e sulla destinazione delle risorse, l’aiuto allo sviluppo è a rischio e le politiche di cooperazione finanziate con fondi pubblici potrebbero essere le prime a pagarne le conseguenze. Il fatto che anche le economie dei paesi del G7 saranno messe a dura prova dal virus fa presupporre che non sarà facile sborsare nuove risorse per una risposta globale. Il timore è che si vada a sottrarre investimenti già destinati ad altre priorità, in particolare quelli per lo sviluppo sostenibile e per contrastare il cambiamento climatico.

Nonostante le previsioni catastrofiche su disoccupazione e povertà presentate in questi giorni dalle agenzie internazionali, a ormai due mesi dalla dichiarazione di pandemia non sono ancora arrivati impegni epocali da parte della cosiddetta comunità internazionale ma è chiaro che questo evento dirompente necessiterà di un ritorno importante alla dimensione multilaterale.

Diversi paesi dell’OCSE hanno già promesso di contribuire ai fondi multilaterali esistenti, compresi quelli della Banca Mondiale e del FMI e al fondo di risposta Covid-19 dell’OMS. Ne occorreranno sicuramente di più e di nuovi, anche perché alcuni fondi multilaterali hanno effettivamente dimostrato di essere efficienti ed efficaci nell’erogare finanziamenti su cause specifiche in modo rapido dove era maggiormente necessario.

L’Italia non mancherà alla chiamata, anzi sembrerebbe intenzionata a giocare un ruolo importante rispetto alla partita multilaterale legata a Covid19. A sostenerlo è la vice ministra Emanuela del Re che ha rilasciato nelle ultime settimane una serie di interviste a sostegno di questo scenario. Lo ribadisce in modo approfondito in un suo recente articolo apparso su Limes: “Senza un coordinamento multilaterale forte non si potrà far fronte alla crisi globale causata dal Covid-19. Teniamo conto del fatto che la multilateralità offre enormi vantaggi: con Oms, Ocha e altre organizzazioni esistono già accordi, queste organizzazioni sono già operative nel settore e possono garantire una risposta rapida ed efficace sul piano sanitario, senza perdere tempo. Il meccanismo messo in piedi sul piano multilaterale in questo momento può dimostrare ancor più la sua incisività. […] Sedere ai tavoli multilaterali mantenendo l’autonomia in merito ai contributi e alle modalità è fondamentale” sottolinea la vice ministra. “Non sedere a quei tavoli vuol dire essere esclusi dal processo decisionale, con effetti a breve e lungo termine molto negativi, perché si esce dal ciclo di reciprocità e solidarietà internazionale che mai come in questo momento è essenziale per assicurare il futuro del nostro stesso paese e si perde influenza e credibilità”.

L’Italia a quei tavoli ci siede da decenni anche perché la componente multilaterale è sempre stata la quota prevalente dell’APS italiano a differenza di tutti gli altri donatori dell’OCSE-DAC, solo negli ultimi anni abbiamo assistito a un riequilibrio tra aiuto multilaterale e bilaterale che oggi sostanzialmente si equivalgono in termini di valore.

Il nostro paese infatti è sempre stato un donatore virtuoso a livello multilaterale ma difficilmente è riuscito a orientare le scelte delle organizzazioni finanziate e a giocare un ruolo da leader, facendo valere la continuità e il peso del suo sostegno. Su questo ci sarebbe da lavorare un bel po’ a livello di cooperazione italiana cercando di fare dell’aiuto multilaterale una componente strategia del nostro APS e non una componente strumentale.

Davanti alle sfide globali di oggi se il futuro della cooperazione dell’Italia e le sue risorse dovessero andare più verso il multilaterale questo sarà sicuramente positivo nella misura in cui saremo in grado di concertare questa politica in un’ottica di sistema paese. Nella cooperazione di oggi e soprattutto in quella di domani, il multilaterale non è solo uno strumento di politica estera e diplomazia ma può essere un’opportunità per tutti gli attori. Un sistema complesso che a vario titolo coinvolge già diversi ministeri (MAECI/AICS, MEF, MIUR, MATTM) oltre che le organizzazioni della società civile, le imprese, il mondo della ricerca e le autorità locali. Non parliamo solo dei contributi obbligatori alle OOII, ma anche di quelli volontari e multibilaterali destinati direttamente alle agenzie nei paesi o a livello regionale che meriterebbero un particolare livello di coordinamento tra le tante amministrazioni coinvolte come enti erogatori, sia delle priorità e dell’orientamento strategico.

In un periodo come questo in cui sarà necessario rivedere le priorità e adattarsi ai nuovi scenari sarebbe un segnale importante che questi attori siano chiamati a interagire strategicamente nel Consiglio nazionale o attraverso un tavolo specifico a partire proprio dalle priorità dell’azione multilaterale dell’Italia.


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