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Trasparenza dell’aiuto, l’Italia resta in coda

Il ministero degli Esteri Italiano resta uno dei donatori meno trasparenti al mondo in materia di aiuti ai paesi in via di sviluppo. Lo rivela l’edizione 2014 del rapporto sulla Trasparenza degli Aiuti, realizzato dall’organizzazione “Publish what you Fund”. Dall’analisi emerge che la maggior parte dei paesi europei sono poco trasparenti nel rendere pubblici i dati relativi alle proprie attività e ai finanziamenti ai paesi in via di sviluppo. Quest’anno l’Indice sulla Trasparenza degli Aiuti (ATI – Aid Transparency Index) valuta la performance dei 68 principali donatori del mondo.

 

La classifica divide i donatori in 5 categorie sulla base dei risultati ottenuti. VERY GOOD, GOOD, FAIR, POOR, VERY POOR. In generale bisogna registrare un corsa verso l’alto dei donatori in termini di trasparenza. Nella categoria VERY GOOD si classificano 7 organizzazioni (nel 2013 erano solo 4). Migliorano la loro performance la Banca africana di sviluppo, la Banca asiatica di sviluppo, il Canada, alcune agenzie della UE, il Global Fund, la Banca interamericana di sviluppo, la Svezia e UNICEF. Grandi miglioramenti sono stati compiuti anche dalla Finlandia, dal Ministero degli Affari Esteri e Sviluppo Internazionale francese, dalla Fondazione Gates, da Spagna e Svizzera. In Europa i paesi più trasparenti, ad oggi, restano il Regno Unito e la Svezia.

 

 

Gli stati membri dell’Ue, in particolare i Ministeri degli Affari esteri, sono tra i donatori meno trasparenti. Tra questi c’è il governo Italiano (che si classifica al 54 posto) tra Giappone e Polonia. La Grecia è fanalino di coda, collocandosi al 67o posto su 68 posizioni, prima della Cina.

 

L’Italia migliora quindi la sua posizione rispetto all’anno scorso (era 60 su 67) restando però saldamente inchiodata nella categoria VERY POOR. Secondo il rapporto, pur avendo recentemente attivato una piattaforma online ad hoc, il portale Open Aid, la Farnesina ancora non pubblica i suoi dati secondo lo standard IATI. “Publish what you fund” auspica che il nostro Paese, come tutti gli altri stati inadempienti, possa aderire allo standard internazionale entro dicembre 2015, come stabilito al vertice di Busan. L’Italia dovrebbe inoltre aggiornare il suo piano d’azione nazionale e includere impegni ambiziosi in materia di trasparenza degli aiuti.

 


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  1. E’ spesso un gioco di parametri. Sono anglosassoni che utilizzano parametri basati sui propri schemi di lavoro e il risultato gli è sempre favorevole. Non si tratta solo di questa valorazione ma di infinite altre. A trecento anni dall’illuminismo e dalla rivoluzione francese molte misure commerciali (vedi i container) usano gli irrazionali piedi o pollici. La misura buona è quella del più forte.

  2. l’Africa finanzia i Paesi ricchi
    Povertà come risorsa. Un’idea stravagante, assurda, sicuramente provocatoria. Ma anche sorprendentemente realistica. Forse sorprendente neanche tanto. Basta rifletterci invertendo i fattori e adoperando lenti meno sfocate. Parliamo della povertà di milioni di persone che vivono nei Paesi africani, classificati “in via di sviluppo“.
    Ma in che modo la povertà può rappresentare una risorsa? E per chi? Qui cominciano le provocazioni. Anzi le riflessioni. Risorsa per i Paesi ricchi finanziatori di quelli poveri che pagano miliardi di dollari all’anno per smaltire il debito contratto. Risorsa per le multinazionali che con pochi spiccioli al mese pagano la manodopera per i lavori pesanti e con molti, moltissimi spiccioli in più pagano politici compiacenti per accaparrarsi le terre ancora libere (in realtà utilizzate per i pascoli e l’agricoltura dagli abitanti del posto). Risorsa per i mercati globali che usano la materia prima dei Paesi poveri, la importano, la lavorano e poi la esportano. Stavolta come prodotto finito e inaccessibile a molti. Risorsa per i signori delle guerre che formano i loro eserciti pescando nel mare magnum della disperazione e della fame. Risorsa anche per giornalisti e fotografi inviati dalle loro testate per mostrare al mondo il dolore più profondo, la malattia senza speranza, gli occhi di un’infanzia sconfitta dalla malnutrizione e dall’apatia. Risorsa persino per le organizzazioni umanitarie, cooperanti e tutto il seguito. Stipendi, trasferte e “tutto compreso”.

    Non è cinismo, né atteggiamento distruttivo. I contributi a tale riflessione sono aumentati moltissimo negli ultimi anni, a cominciare dalla critica alla politica degli aiuti e della cooperazione allo sviluppo.
    E questo non solo in Africa. Perché ormai è noto: l’1% della popolazione più ricca del mondo possiede il 32% della ricchezza e il 25% della popolazione mondiale consuma l’85% delle ricchezze del pianeta. È un’assurdità dire che “il nostro sistema economico è finanziato dai poveri“? E quando e perché tutto questo è cominciato? Una nuova sensibilità tra studiosi, economisti, attivisti sta mettendo in campo ormai da qualche anno una serie di analisi e approfondimenti che mirano non solo a riconoscere e a guardare la questione nella sua totalità, ma anche a mostrare che gli effetti del presente stanno nelle cause (e negli errori) del passato. Errori che si continuano a ripetere. Basati su egoismi e presunzioni che sarà difficile debellare. Ieri il colonialismo e la schiavitù, oggi il neocolonialismo delle politiche dei Paesi industrializzati e di organismi come il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, l’Organizzazione mondiale per il commercio. E il neoliberismo delle multinazionali.

    Se si vuole entrare un po’ più a fondo nell’argomento e cercare di capirne il senso bisogna guardare (e con attenzione). La colonizzazione appunto (con la Bibbia in una mano e il fucile nell’altra) fino ad arrivare all’imposizione delle regole degli organismi internazionali, del capitalismo, del neoliberismo e delle multinazionali. La Storia e le storie. Quelle di singoli individui e famiglie che dalla povertà non usciranno mai. Esempi dal Kenya, dalla Tanzania… Un documentario dove a parlare sono scienziati dell’economia, premi Nobel, attivisti. Ma dove a parlare sono anche e soprattutto le persone che la povertà la vivono sul serio. Che raccontano come si vive in una miniera o tagliando canna da zucchero per ore ed ore o vendendo merce per guadagnare per tutta la vita 50 centesimi al giorno, o un dollaro. O niente.
    Ma allora a che serve inviare tanti soldi in quei Paesi? A che servono i progetti delle agenzie internazionali? Su questo tema le opinioni sono quasi spaccate a metà ormai. E vanno tra i due estremi. Perché è sempre bene non dimenticare che il benessere è temporale e la situazione assai incerta. Così incerta che si è cominciato a stringere la cinghia. Non solo in casa propria ma nell’invio degli aiuti ai PVS appunto. Che nel 2011 sono calati di quasi il 3%.

    Che dalla crisi in atto nei Paesi occidentali possa scaturire un’inversione di tendenza? Che si possa cominciare a pensare a un nuovo sistema di vita? Non si può fare diversamente perché la decrescita del occidente è la condizione indispensabile per risolvere i problemi del pianeta. Il benessere dell’occidente è temporaneo, incerto, se altri non hanno cibo, acqua e la loro stabilità è così fragile“. Dove per decrescita si intende riduzione dell’impatto ambientale, dei rifiuti, di dipendenza dal petrolio. Vuol dire ripensare all’organizzazione sociale, uscire dal totalitarismo economico per aprire a “storie multiple” dove si possano recuperare culture, valori, modelli di civilizzazione perduti. Quindi agli esseri umani che hanno creato i danni tocca anche cercare il rimedio. Che non può essere riuscire a farcela senza aiuti. La maniera che usano è il modello di consumo, di abuso del consumo, è improponibile. Un modo stupido di vivere. E non sta aiutando, ad esempio, i Paesi dell’Africa sub sahariana ormai già saturi della merce scarsa da acquistare e buttare il giorno dopo. Ormai saturi di un modello che sfrutta le risorse fino all’inverosimile. Con poche regole, con scarsa trasparenza. Con nessun coinvolgimento delle comunità locali.

    E qualcuno ha provato a creare scompiglio usando in maniera molto specifica il concetto di povertà come risorsa. Una risorsa di cui però dovrebbero avvantaggiarsi proprio i più poveri.
    Mi è stato revocato la permanenza nel alcuni paesi del mondo perché me ne vado in giro per testimoniare lo sfruttamento, non solo quello ai danni delle popolazioni locali da parte dei grossi imperi finanziari e multinazionali senza scrupoli, ma anche quello dei mass media che “usano” la povertà come fosse pornografia. Non per risolverla. voglio insegnare agli africani a “usare” il loro stato, la loro situazione di miseria, di bisogno. Togliendo questo monopolio agli occidentali. Ma il finale è quello della sconfitta, dell’impossibilità di venirne fuori. E ai giovani fotografi a cui sto suggerendo di smettere di fotografare i bambini che muoiono di fame, le guerra, le donne stuprate e provare a venderle ai mass media o anche alle ONG, non rimarrà che continuare a fotografare matrimoni e piccoli eventi domestici vendendo le foto a 75 centesimi di dollaro mentre al fotografo gliene vengono pagati 50 di dollari perché lui “porta una storia, una notizia“.

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