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Le ONG al bivio sul futuro dello sviluppo, fornire aiuti e servizi o fare advocacy ed empowerment?


Fa scintille nel mondo non governativo anglosassone uno studio pubblicato dall’Università di Manchester che sostiene che le ONG siano troppo sbilanciate verso gli aiuti e l’erogazione di servizi piuttosto che attive per eliminare le cause della povertà.
La polemica crescente è documentata da un articolo del Guardian che riassume le reazioni alla pubblicazione della ricerca universitaria che accusa le ONG di aver perso il loro “eroico spirito iniziale” in favore di un approccio iper-professionalizzato e apolitico che non ha impatto nel cambiamento e nelle battaglie sociali dei più poveri. Nicola Banks e David Hulme dipingono le ONG come strutture burocratiche asservite a donatori e governi e integrate in un sistema di aiuti che non incide sulle cause della povertà.
Il primo a reagire con veemenza è Duncan Green, advisor di Oxfam Gb sul suo blog From poverty to power che accusa gli accademici di aver impacchettato una critica standard del mondo delle ONG senza portare evidenze e dati a sostegno delle loro tesi. Green in realtà non si discosta completamente dalle conclusioni dello studio sostenendo che la povertà sia una condizione politica e che con armi politiche vada combattuta. Non nasconde irritazione verso l’approccio che le ONG britanniche hanno mantenuto per anni sui temi della povertà, il chiodo fisso dello 0,7% del Pil e delle risorse per gli aiuti.  
Una crepa che si apre sempre più tra le ONG, chi chiede più aiuti e risorse (la battaglia di Save The Children e ONE) e chi chiede una revisione totale dell’agenda contro la povertà (World Development Movement e Jubilee Debt Campaign). Questi gli schieramenti che recentemente hanno mostrato crescente distanza in occasione dell’Hunger Summit a Downing Street, prima tappa in preparazione del prossimo G8.
In poche parole la distanza tra le ONG convinte che si debba combattere per più risorse, più professionalità e più aiuti e quelle che insistono per un cambiamento politico dell’agenda e che sul terreno politico vogliono combattere la battaglia.
Il rischio, secondo Owen Barder del Centre for Global Development, è che il prossimo G8 possa pensare di risolvere questi problemi mantenendo in vita alcuni dei programmi di aiuto esistenti evitando per l’ennesima volta di affrontare un discorso politico più ampio verso cambiamenti sistemici dell’aiuto allo sviluppo.
Il dibattito è aperto e la spaccatura crescente, dal Regno Unito agli Stati Uniti al resto d’Europa.

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