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IVA e fisco sul non profit, serve un intervento con la riforma del terzo settore

Ci sono voluti mesi perché il tema arrivasse sulla stampa nazionale e succede proprio oggi che il Corriere della Sera e il TG La7 scoprono di dover pagare 300.000 euro di Iva per la costruzione della scuola di Cavezzo con i fondi della campagna ‘Un aiuto subito’ avviata a seguito del terremoto in Emilia. Nell’articolo di oggi il Corriere ringrazia giustamente tutti fuorché lo Stato, che invece si è materializzato solo sotto forma di esoso esattore. “Ciò che resta dei fondi raccolti se li prende lui. Per aver realizzato un polo scolastico con i soldi dei lettori, si deve pagare una tassa. Una tassa sulla generosità prevista con l’Iva: trecentomila euro. Mentre si prepara la riforma del non profit, nessuno pensa a rimuovere un balzello che pesa sulla beneficenza: oggi in Italia lo deve pagare l’azienda che decide di ristrutturare a sue spese un padiglione d’ospedale e l’associazione che regala un’ambulanza al pronto soccorso. Un’assurdità”. “Si paga l’Iva per la biblioteca restaurata dopo l’alluvione di Aulla, per la Casa del volontariato di Milano, per realizzare il centro sportivo di Scampia gestito gratuitamente dai volontari. Si paga l’Iva su tutto, calamità (ovviamente) comprese”.

 

Bene, una bella scoperta quella del Corriere
E’ tutto vero purtroppo, per ONG, associazioni e onlus che si occupano di solidarietà e sociale l’Iva è un costo. “Per chi compra o vende, è un obbligo di legge. L’imposta sul valore aggiunto si paga al 22 per cento, ma quando si realizzano opere di valore sociale come le scuole si ottiene uno sconto fino al 10 per cento. In sede di bilancio non è un problema: si tratta di una partita di giro. Chi la carica sulla merce acquistata può scaricarla su quella venduta. Per noi (e certamente per altri benefattori) invece è un extra: non abbiamo partite di giro, si paga e basta. Sono i paradossi della nostra disciplina fiscale: invece di essere agevolato, chi fa del bene viene spesso ostacolato. Non serve una doccia gelata qui: basterebbe un emendamento del governo o del parlamento per annullare un’assurda gabella, restituendola ai terremotati di Cavezzo, ai sindaci impegnati nella ricostruzione, alle insegnanti e ai bambini del polo scolastico. Sarebbe un atto di buon senso e l’inizio di una fattiva collaborazione tra privati e istituzioni, in caso di disastri e calamità. Ma nessuno ci ha pensato”.

 

Ma non finisce qui!
L’altro capitolo altrettanto assurdo è quello legato alle detrazioni fiscali sulle donazioni. Il decreto approvato a dicembre scorso che ha di fatto abolito progressivamente il finanziamento pubblico ai partiti stabiliva la facoltà di erogare donazioni liberali agli stessi partiti politici con un vantaggioso tasso di riduzione fiscale: una detrazione del 37% dell’IRPEF per le donazioni per importi da 30 euro a 20.000 e del 26% per importi da 20.001 a 70.000 euro annui. Infine, il testo prevedeva la detraibilità al 75% per le cifre corrisposte ai partiti politici per la frequenza di scuole o corsi di formazione politica con un tetto massimo per persona fisica di 750 euro annui.

 

Peccato che le detrazioni previste per le donazioni alle organizzazioni non profit si fermino ad un massimo del 26% per un tetto di 2.065 euro annui, con un importo di 536 euro detraibili all’anno per contribuente. Già nei primi anni del 2014 una campagna virale si era scagliata conto il decreto (#Diventapartito) riuscendo a sollevare un dibattito nel settore e interessando alcuni parlamentari delle commissioni. Il testo è stato parzialmente rivisto proprio in Commissione per arrivare a una misura unica di detrazione pari al 26%, la detrazione è prevista solo per le donazioni che vanno da 30 a 30.000 euro, è stato del tutto soppresso il comma 3 dell’art. 11 che prevedeva una detrazione al 75% per costi sostenuti per scuole di formazione politica; il tetto per le liberalità scende da 300.000 a 100.000 euro. La sperequazione è ancora significativa se si pensa che per una donazione ad esempio di 30mila euro, nel caso dei partiti la detrazione è pari a 7.800 euro, mentre nel caso del non profit resta a 537 euro, visto che il ‘tetto’ su cui calcolarla resta di 2.065 euro).

 

La riforma del terzo settore, annunciata proprio oggi alla Camera, prevede la razionalizzazione e la semplificazione del regime di deducibilità e detraibilità delle erogazioni liberali per il non profit. Su questo punto reagisce il parlamentare Pd Edoardo Patriarca, che oltre a essere membro della commissione Affari sociali è anche presidente del Centro Nazionale per il Volontariato. “Per me ‘razionalizzare’ significa abbattere l’Iva e raggiungere la detrazione totale delle donazioni, senza prevedere alcun tetto massimo. Gli italiani hanno una forte propensione al dono, anche in tempo di crisi. Una buona pratica che dev’essere favorita e sostenuta, non penalizzata. La generosità non può, né deve, essere tassata”.

 


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  1. Che la questione IVA sia una palla al piede per le non profit è noto da sempre.speriamo solo que la questione sollevata dal corriere e la 7 non si perda e apra il terreno per una forte azione di lobby positiva da parte delle associazioni e delle loro reti. Va sostenuta e amplificata la posizione di Patriarca.

  2. Concordo con Patriaraca, peccato però che sia e continui a restare un sogno. E, come tale, non realizzabile. Bobba replica, a tal proposito, su Vita: “occorre fare attenzione, perché premiando il donatore si rischia poi di non poter più favorire chi riceve”. O uno o l’altro, insomma. Io non sono un’economista ma un comunicatore e una fundraiser, ma la verità è che un compromesso può pur essere trovato. Da qualche parte si dovrà pur cominciare per mettere a posto questa discriminazione e per far sì che il Terzo settore acquisisca i meriti che merita, perdonate il gioco di parole. Sennò continuiamo a raccontarcele e chi è lì per fare i nostri interessi, finisce con il fare demagogia, suo malgrado.

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