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Sustainable Development Goals o Stupid Development Goals?

E’ il noto mensile inglese the Economist a sferrare un duro attacco all’impianto e ai contenuti degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs). Secondo l’analisi proposta ai lettori, gli obiettivi – rinominati ironicamente Stupid Development Goals – sarebbero più che inutili, addirittura dannosi e dispersivi. Riportiamo di seguito una traduzione dell’articolo dedicato a questa tesi dal titolo “I 169 comandamenti”.

 

I 169 comandamenti

 

Mosè portò dieci comandamenti giù dal Monte Sinai. Se solo elenco proposto delle Nazioni Unite con i Sustainable Development Goals (SDGs) fosse stato così conciso. Gli SDGs dovrebbero impostare il modo di migliorare la vita dei poveri nei paesi emergenti stabilendo i meccanismi per guidare il denaro e le politiche dei governi verso i paesi che possono fare il meglio. Ma gli sforzi delle commissioni di redazione degli SDG sono stati così irregolari ed erronei che l’intera impresa in fase di costituzione rischia di fallire. Sarebbe non solo un occasione sprecata, ma anche un tradimento nei confronti delle persone più povere del mondo.

 

Gli SDGs sono i successori degli obiettivi di sviluppo del millennio (MDGs) che i governi di tutto il mondo hanno iscritto nel 2000 e hanno promesso di raggiungere entro il 2015. Erano otto obbiettivi con 21 sotto-obiettivi, dall’educazione delle ragazze all’eliminazione della mortalità materna. Nel complesso, gli MDG registrano un livello di raggiungimento decente. Alcuni (come la riduzione della mortalità infantile e materna) sanno mancati di gran lunga. Ma altri, come il taglio della percentuale di persone che vivono in condizioni di estrema povertà, sono stati raggiunti. Gli MDG stessi però non sempre meritano credito: l’abbassamento del tasso di povertà nel mondo ha molto più a che fare con la crescita in Cina di qualsiasi concordato presso le Nazioni Unite. Ma in altri casi, come ad esempio sull’accesso all’acqua pulita, la prospettiva di non raggiungere il target internazionale ha costretto i paesi ad fare meglio di quello che avrebbero fatto altrimenti.
I paesi in via di sviluppo e le agenzie internazionali nella stesura degli SDGs, che fissare obiettivi per il 2030, sembrano non averne mai abbastanza. Gli MDGs sono talmente piaciuti che ora vogliono di più, ben 148 obiettivi in più. Al momento sono 169 gli obiettivi proposti, raggruppati in 17 goals. Un’ambizione biblica che non porterà nulla di buono.

 

I loro sostenitori giustificano la proliferazione dicendo gli SDGs sono più ambiziosi rispetto ai loro predecessori: si estendono a cose come l’urbanizzazione, le infrastrutture e il cambiamento climatico. L’argomento è che la riduzione della povertà non è una questione semplice. Si è radicata in un intero sistema di disuguaglianza e di ingiustizia, il che significa che c’è bisogno di un sacco di obiettivi per migliorare la governance, favorire la trasparenza, ridurre le disuguaglianze e così via. C’è del vero in questa tesi, ma le SDGs sono ancora un pasticcio. Ogni gruppo di pressione ha inserito il proprio interesse particolare. Tra gli obiettivi c’è quello verso un turismo sostenibile e la creazione di una “partnership globale per lo sviluppo sostenibile, integrato da partenariati multi-stakeholder”, qualunque cosa ciò significhi.

 

I paesi in via di sviluppo sembrano pensare che più obiettivi ci sono e più aiuti economici riceveranno. Si sbagliano. Gli SDGs hanno un costo talmente alto che non è sostenibile. Raggiungerli costerebbe ogni anno dai 2000 ai 3000 miliardi di dollari di denaro pubblico e privato per oltre 15 anni. Questo è circa il 15% del risparmio globale annuo, o 4% del PIL mondiale. Al momento, i governi occidentali promettono di fornire lo 0,7% del PIL in aiuti, ma ne sborsano neanche un terzo. Pensare di spendere di più di quello che i paesi non riescono a dare oggi è pura fantasia.
I sostenitori degli SDGs ammettono fin dall’inizio che non tutti i paesi raggiungeranno tutti gli obiettivi, un’ammissione che mina gli obiettivi dalle fondamenta. Gli MDG almeno avevano individuato delle priorità per fare pressione sui paesi che non avevano mantenuto fede alle loro promesse; un insieme di 169 comandamenti significa, in pratica, non avere nessuna priorità.

 

Stabilendo una miriade di obiettivi top-down, i redattori SDG ignorano una delle lezioni più importanti di sviluppo: ogni luogo è diverso. Il contesto locale è di vitale importanza; politiche che funzionano in un luogo possono non funzionare in un altro. Gli MDGs erano abbastanza ampi da permettere variazioni locali. Gli SDGs invece sono stretti e porterebbero a politiche di sviluppo fatte con lo stampino, che quasi certamente non funzioneranno.

 

Stupid Development Goals
Ma la cosa peggiore di tutte è che gli SDGs distraggono l’attenzione. Nel corso dei prossimi 15 anni, il mondo ha la possibilità di eliminare la povertà estrema, cioè, di porre fine alla miseria di quasi 1 miliardo di persone che vivono con non più di 1,25 dollari al giorno. Questo obiettivo non sarà raggiunto automaticamente; in molti luoghi il trend punta oggi nella direzione sbagliata. Ma l’obiettivo potrebbe essere raggiunto a costi ragionevoli. Programmi di trasferimento di risorse per portare tutti al di sopra della linea di povertà potrebbero costare circa 65 miliardi di dollari all’anno, una quantità di aiuti modesta rispetto ai 3.000 miliardi di dollari. Questo obiettivo è il primo SDG e avrebbe molte più possibilità di essere raggiunto se si trovasse a capo di una lista molto breve.
Questo potrebbe essere ancora fatto. I governi devono approvare gli SDGs a settembre. Da qui ad allora l’elenco dovrebbe onorare la memoria di Mosè ed essere tagliato a massimo dieci obbiettivi indirizzati a ridurre la povertà, promuovere l’educazione e migliorare la salute. SDGs di oggi sono pieni di buone intenzioni, ma tutti sanno dove portano le buone intenzioni… (fonte The Economist, traduzione libera a cura di redazione)

 


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  1. Articolo veramente eccezionale! Fa pensare molto e ispira voglia di fare per cambiare il nostro lavoro sempre piu’ imbavagliato dalla burocrazia.

  2. Il 9 settembre dell’anno scorso (2014) avevo fatto un commento ad un articolo riguardante un argomento molto simiel a questo di The Economist. Ripropongo qui il commento di allora perchè ritengo che non abbia perso la sua valenza. Eccola:

    I SDGs (o Post 2015) costituiscono l’ennesima balla globale che l’ONU ci vuole infilare per autoleggittimarsi, ancora una volta, di fronte al mondo!

    L’ONU, infatti, ha bisogno di nascondere i miseri risultati ottenuti con il Millenium Goals. Per questo s’inventa questa nuova balla globale degli “Obiettivi di Sviluppo Sostenibile” (a proposito, è impossibile che lo sviluppo sia “sostenibile” se il paradigma che lo sorregge è sempre il solito, cioè, l’approccio incrementalistico).

    Con gli SDGs, dunque, l’ONU inaugura la campagna di manipolazione delle coscienze con la chiara finalità di occultare le VERE RAGIONI dell’impoverimento globale: il commercio delle armi verso il Sud del pianeta, la diffusa corruzione della clase dirigente nei paesi impoveriti, l’incontrollato e grottesco Land Grabbing (specialmente in Africa e di cui anche l’Italia partecipa alla grande) e l’alta evasione fiscale da parte delle imprese multinazionali che operano nelle realtà impoverite del mondo.

    Ci vuole tanto perchè i burocrati dell’ONU (e i loro seguaci italiani) inseriscano questi temi tra le CAUSE VERE del processo d’impoverimento nel mondo? Daii! Smettetela con l’ipocrisia!!!

    La verità è che gli SDGs sono una grande opportunità per continuare a FARE BUSINESS con la disperazione degli impoveriti!

    Inventatene un’altra!!

  3. Tirare in ballo Mosè,è prima di tutto ridicolo e ipocrita.Serve solo a creare un’atmosfera di sacralità e di enfasi economica in un argomento di una drammaticità mondiale.Stiamo di fronte al capitalismo ,nella fase putrescente dell’IMPERIALISMO.E’questo il panorama in cui il capitale finanziario internazionale per raggiungere il massimo profitto,sottomette interi continenti ,attraverso la categoria economica della proprietà privata capitalistica della terra.E le O.N.G.sono gli arcieri che agiscono in prima fila per estendere questa nuova e moderna forma di dominio di masse indifese.

  4. Mi chiedo e chiedo come è stato possibile far passare per nuova l’idea microfinance e ancora quando, come e perché è stato possibile raccomandare microfinance quale strumento per combattere la povertà. Ho cercato di dare una risposta con il Position Paper MICROFINANCE & POVERTY, Give people a job not a loan, https://independent.academia.edu/AscanioGraziosi/Papers

    A Re-thinking on microfinance began after the industry’s implosions in Bangladesh, Bosnia, Cambodia, India, Morocco, Pakistan and Nicaragua, where some micro financial institutions (MFI) have been beset with financial problems. The microfinance’s collapse in the southern Indian state of Andhra Pradesh led to mass suicides and had a worldwide echo. The poignancy of the moment created by this dark side of microfinance has been the origin of review and revision of the industry. Before this tragedy, few commentators argued on the fundamentals of the approach of this appealing way of doing credit and everybody jumped on the bandwagon playing an unreliable piano score “everybody deserve a loan”.

    A robust contribution on figuring out the future of microfinance has come from the monitoring and analyses of the progress achieved by the Millennium Development Goals (MDG) known as Post-2015 Evaluations, proposed by the United Nations Development Programme and the Department of Economic and Social Affairs. The analysis has bee planned to measure the achievement of the nine MDG goals. The mixed results on reducing poverty have drawn the attention of microfinance insiders, the industry having a casting position on poverty matters.

    Discussing on microfinance failure in India, Google sources informed: “The concept of microfinance is not new. Savings and credit groups that have operated for centuries include the “susus” of Ghana, “chit funds” in India, “tandas” in Mexico, “arisan” in Indonesia, “cheetu” in Sri Lanka, “tontines” in Ist Africa, and “pasanaku” in Bolivia and numerous savings clubs and burial societies found all over the world”.
    To complete above picture, it is worthwhile to mention that in Western Europe and namely in Italy, Germany, France, and Belgium, amid the industrial revolution flourished charity organisations and other NGO devoted to help the marginalised people of the society. Then, some of those organisations became big financial institutions.

    Microfinance movement was born in a consumerism era in Asia Sub-Continent and South America; it emerged when the traditional ways to banking appeared to be old-fashioned and no more suitable in a free market. In a social context having the individual borrower at the heart of the system, priority has been given to exploring new ways and means on how to make each one and everybody eligible for credit. Microfinance was born at that very moment in time. Unfortunately it moved on with a wrong foot.

    1.1 On the methodological side, historically, savings comes first, that’s to say, the potential applicant is asked to start savings to benefit of credit. Then, the pioneers of microfinance said: let’s start the other way around, namely with credit, on the optimistic assumption that the borrowers will honour the debt. This has been an unreliable approach. They acted on the grounds of humanitarian purpose, which is a noble act, of course, but by doing so, they abandoned the traditional credit decision-making process. Reasonably, introducing a new approach, they had to provide it with a comprehensive methodological approach, but they didn’t do it, at least in a comprehensive way.

    1.2 However above approach couldn’t be a wrong doing because starting the cycle with credit could be a correct reasoning, on condition that the lenders don’t exaggerate on the optimistic assumptions and do follow the credit risk warnings. If they don’t do that, we are in presence of micro grant and not micro credit and sometime philanthropy. As a matter of fact, in many cases we have been in presence of a bet: the lender may or may not win: recover or loose the money lent out.

    1.3 No one can object to distribute credit, of course, on condition to make clear the source of money and who will pay the bill, namely who will replace the defaulters. We know that the taxpayers have paid the microfinance defaults because a huge amount of financial resources used by donors and governments are public money.

    1.4 Is it conceivable that microfinance could meet the needs of 2.5 billions of people without accompanying interventions at country’s economic policy? This has been possible by mystifying the human rights to have equal opportunities with the people rights to have access to credit. The former belongs to the governments, the latter to the lender’s discretion.

    1.5 Between the end and the beginning of last century we witnessed the blossom of microfinance and the boom of micro financial disasters. This marked down the new microfinance wave, which was supported by the “system”, namely governments, donors, etc. There has been a worldwide abuse on credit sanctioning matters. As a matter of fact, bad management, interferences, politics, incompetence and unaffordable interest rates have made it the microfinance’s headlines with important achievements, of course, but at which costs?

    1.6 Beginning year 2000 UN system took the lead of microfinance movement and all the interventions have been much more than a noble gesture, because of the massive resources allocated for the purpose. The wave reached the height with the launch of Millennium Development Goal and in 2006 a leading microfinance pioneer was awarded with the Nobel.

    1.7 Microfinance has been proposed as a new credo to accept without arguing and with an extraordinary and unexpected worldwide media support, which has been granted before evidence and inflated a false boom.

    1.8 In this picture very few commentators argued on the unconvinced role of microfinance as a means to overcome poverty, which got the unconditioned sponsorship of donors and the major funding agencies.

    1.9 In our opinion the hands-in of UN system on microfinance confirmed the governments’ failure to deal with poverty and this is why the anti poverty flag has been handed over to micro financiers with a social vision, who benefited of very lucky situations to promote their ideas. To some extent we could say that microfinance has diverted the attention on how to really eradicate poverty because people has been offered a loan instead of a job.

    Within above context emerged a proposal focusing on “everybody deserves a loan”, in contradiction with a correct credit decision-making process, which is based on eligibility criteria. Microfinance pioneers did very little to advice practitioners on the difference between credit and grant, which has created an improper practice with confusion and mystification. More time was supposed to be spent to condemn unscrupulous lenders, political interference, lobbies, misinterpretation and mismanagement. From their podium the pioneers were supposed to use the popularity to spell out how to deal with credit, which means confidence and it isn’t a bet. A wrong methodological approach has been responsible for many microfinance’s failures, which has emphasised the supply of (just give them a loan) passing over the type of demand for and disregarding a suitable lending procedure.

    Graziosi Ascanio
    Owner, 2015 MICROFINANCE PRACTICE

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