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La prima di Trump al Congresso: “Più armi e meno aiuti”

Un aumento di 54 miliardi per la spesa militare recuperati riducendo fortemente gli aiuti americani all’estero. E’ questa l’indiscrezione che ha accompagnato alcuni giorni fa la bozza di budget che Donald Trump ha presentato al Congresso per l’approvazione. Sembrerebbe l’attuazione di una delle promesse elettorali di Trump, quella di smettere di «foraggiare Paesi che ci odiano». E si sa, la classifica internazionale dell’antiamericanismo è lunga e comprende per lo più paesi dove povertà e ingiustizia sono ai massimi livelli. Il primo paese nel mirino sarebbe l’Egitto, il gigante del vicino oriente dall’economia traballante dove l’85% dei cittadini vedono gli States negativamente. Il Pakistan segue a ruota; nonostante i 900 milioni di dollari l’anno di aiuti americani il 75% della popolazione considera gli USA un nemico. Per non parlare dell’Iraq, dove l’antiamericanismo unisce sunniti, sciiti e cristiani.

 

Così come sta avvenendo per il Muslim Ban, i programmi del presidente dovranno resistere a una serie di opposizioni interne, difficile quindi che diventino operativi nell’immediato. Una prima reazione ai tagli ipotizzati da Trump è arrivata proprio dal mondo militare. Un gruppo di 120 generali e ammiragli ha già inviato una lettera al parlamento sottolineando che la lotta al terrorismo non può essere combattuta solo sul campo di battaglia, ma occorrono aiuti contro le cause dell’estremismo, ovvero mancanza di opportunità, ingiustizia, povertà.

 

Inutile dire che il mondo non governativo americano si è immediatamente allertato. I primi a reagire sono stati quello della One Campaign. Il direttore esecutivo Tom Hart sostiene che saranno gli stati dell’Africa subsahariana le principali vittime di questi tagli. È possibile ad esempio che Washington decida di minimizzare la sua partecipazione al piano di aiuti ONU per la regione del lago Ciad. Altri tagli alle spese potrebbero riguardare i fondi internazionali come quelli per la protezione e assistenza dei rifugiati e, forse, i contributi alle agenzie Onu, che dipendono in buona parte da dollari americani. Infine potrebbero venire fortemente ridotti i programmi a guida USA per la lotta all’AIDS e alla malaria, che secondo i calcoli del Washington Post hanno salvato finora 6 milioni di persone.

 

Gli USA, è bene ricordarlo, sono in valori assoluti il primo donor mondiale ma destinano appena lo 0,17 del PIL in aiuti internazionali (contro lo 0,70% del Regno Unito e l’1,1% della Svezia).

 


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