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La crisi Ucraina manda in tilt il sistema umanitario

Nelle ultime settimane livelli di finanziamento da record stanno affluendo nelle casse della macchina umanitaria attivata per la guerra in Ucraina. Un fenomeno mai osservato a seguito di precedenti conflitti che denota un’ottima capacità di reazione e di solidarietà dell’opinione pubblica e del sistema degli aiuti ma che inizia a preoccupare gli addetti ai lavori che temono un dirottamento eccessivo delle risorse da altre crisi che stanno ricevendo scarsa attenzione e che rimangono gravemente sotto finanziate, dall’Afghanistan allo Yemen al Corno d’Africa.

Numerosi fattori contribuiscono all’inedito slancio di solidarietà per l’Ucraina: l’enorme significato geopolitico del conflitto, le gravi ricadute economiche dell’invasione russa, l’assoluta velocità e la portata della crisi degli sfollati, il tutto accompagnato da una copertura mediatica H 24, 7 giorni su 7. Tutto comprensibile se pensiamo all’opinione pubblica, un po’ meno per ciò che riguarda i donatori istituzionali e governativi che dovrebbero avere ben chiaro quali sono i livelli di assistenza necessari sui vari fronti internazionali rispetto alla situazione creatasi in Ucraina.

Le organizzazioni che coordinano gli sforzi di aiuto internazionale devono far fronte a un crescente divario tra finanziamenti e bisogni, e si preparano al rischio che la guerra in Ucraina possa innescare una crisi alimentare globale anche al seguito degli aumenti impressionanti del costo della vita registrati nei mesi precedenti al conflitto.

Il 24 marzo gli Stati Uniti hanno annunciato che doneranno 1 miliardo di dollari per aiutare i paesi europei ad assorbire i rifugiati dall’Ucraina. A questi si aggiungono 1,5 miliardi di dollari promessi durante una conferenza di finanziamento all’inizio di marzo dagli Stati donatori per sostenere gli sforzi umanitari in Ucraina e nei paesi vicini.

Questo risultato è in netto contrasto con quello della Conferenza degli impegni internazionali tenutasi anch’essa a marzo per lo Yemen, dove i donatori hanno raccolto meno di un terzo dei 4,3 miliardi di dollari che le Nazioni Unite hanno ritenuto necessari per rispondere a una delle emergenze umanitarie più grandi e complesse del mondo. Nello Yemen, i servizi di base danneggiati e un’economia al collasso hanno lasciato circa 20,7 milioni di persone (più di due terzi della popolazione) bisognose di assistenza urgente, in un conflitto in crescendo che coinvolge numerosi attori diversi.

Non è però solo lo Yemen a ricevere una frazione di ciò di cui ha bisogno dalle nazioni più ricche del mondo. Le crisi umanitarie stanno andando fuori controllo in molte parti del globo: in Afghanistan, dove le sanzioni internazionali contro i talebani hanno interrotto gran parte dell’assistenza abituale anche se l’economia e il sistema sanitario crollano; nel Corno d’Africa, che rischia di scivolare quasi inosservato verso la carestia; in Etiopia, dove l’epicentro del conflitto si è spostato dal Tigray alla regione di Afar; e nel Myanmar post-golpe, dove i critici dell’inerzia internazionale hanno descritto un “vuoto degli aiuti”, per non parlare del fronte occidentale dove  Burkina Faso e Mali registrano numeri impressionanti di sfollati.

Per coloro che cercano di condurre una risposta coordinata di aiuto globale, la preoccupazione è che un’attenzione eccessiva sull’Ucraina risucchierà per parecchio tempo risorse – sia finanziarie che umane – da altre crisi che stanno già affrontando carenze di fondi senza precedenti. La carenza di fondi per la risposta umanitaria globale era già un problema prima anche prima dell’invasione russa dell’Ucraina, la carenza di fondi aveva già costretto alla riduzione di alcuni programmi e alla diminuzione degli aiuti in tutti gli scenari umanitari. Nonostante i livelli relativamente elevati di contributi dei donatori nel 2021 – il 46% dei requisiti è stato soddisfatto – cresce il divario tra ciò che serve e ciò che viene effettivamente raccolto, mancano all’appello circa  20,5 miliardi di dollari. Inoltre molti importanti stati donatori si sono fortemente indebitati per aumentare i propri servizi sociali durante la pandemia, si trovano ora ad affrontare un’inflazione galoppante e una crisi del costo della vita, dal prezzo del gas a quelli dei generi alimentari di base. Tutto questo influisce negativamente sulla loro capacità di mantenere gli impegni internazionali.

Sul fronte delle donazioni private i cittadini di buona parte dell’occidente hanno risposto mettendo le mani al portafogli nonostante i tempi economici incerti e hanno messo in campo un flusso importantissimo di risorse disponibili per far fronte alla crisi Ucraina. In poche settimane sono spuntate migliaia di iniziative dalle parrocchie alle Caritas, dalle corporations alle celebrities di mezzo mondo, ogni attività di business si è tinta di azzurro e giallo per raccogliere fondi. Mentre molti lodano questa straordinaria generosità, alcuni si chiedono perché solo ora, perché solo per gli ucraini, perché no per gli etiopi, per i siriani, per gli iracheni, per i palestinesi. La stessa cosa vale per il trattamento riservato ai profughi, quelli ucraini sono stati definiti profughi di serie A che trovano porte aperte, risorse e normative straordinarie in quasi tutti i paesi d’Europa.

Sono questi alcune delle principali considerazione che preoccupano gli operatori del mondo umanitario soprattutto per le ricadute a lungo termine che il conflitto ucraino  potrà avere sull’insicurezza alimentare globale e sui livelli di povertà, effetti a catena che renderanno ancora più acute molte emergenze umanitarie già oggi sotto finanziate.


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  1. Una risposta c’è alla domanda dell’articolo, perché non dirlo ? “.. . Mentre molti lodano questa straordinaria generosità, alcuni si chiedono perché solo ora, perché solo per gli ucraini, perché no per gli etiopi, per i siriani, per gli iracheni, per i palestinesi. La stessa cosa vale per il trattamento riservato ai profughi, quelli ucraini sono stati definiti profughi di serie A che trovano porte aperte, risorse e normative straordinarie in quasi tutti i paesi d’Europa.”

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