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Metodi scientifici per combattere la povertà, è questa la ricetta dei premi Nobel per l’economia

Il Comitato del Nobel ha assegnato il premio per l’economia 2019 agli economisti del MIT Esther Duflo e Abhijit Banerjee e all’economista di Harvard Michael Kremer. Si tratta di tre ricercatori che lavorano sulla povertà globale e l’economia dello sviluppo da diversi anni studiando l’efficacia degli interventi in diversi settori e aree geografiche del pianeta. I vincitori, secondo le motivazioni del premio, si sono distinti per aver “introdotto un nuovo approccio per ottenere risposte affidabili sui modi migliori per combattere la povertà globale. In due decenni, il loro nuovo approccio sperimentale ha trasformato l’economia dello sviluppo, che ora è un fiorente campo di ricerca”. Il loro contributo al progresso della ricerca economica sarebbe proprio quello di essere stati pionieri dell’applicazione del metodo sperimentale all’economia dello sviluppo.

Banerjee ha 58 anni ed è professore di Economia al Massachusetts Institute of Technology, dopo aver insegnato all’Università di Harvard e di Princeton. Nel 2013, è stato nominato dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon tra gli esperti incaricati di aggiornare gli Obiettivi di sviluppo del Millennio dopo il 2015. Insieme a Duflo e Kremer ha utilizzato gli esperimenti sul campo come metodologia per scoprire relazioni causali in economia. Banerjee e Duflo sono sposati e hanno scritto a quattro mani il libro “Poor Economics” (tradotto in italiano per Feltrinelli) nel 2011.

Nella loro teoria propongono un ripensamento radicale dell’economia della povertà e offrono una visione d’insieme delle vite dei più poveri del mondo per mostrare che la creazione di un mondo senza povertà inizia con la comprensione di semplici decisioni quotidiane. La tesi è che il fallimento di decenni e miliardi di aiuti allo sviluppo si spieghi dal prevalere di ignoranza, ideologie e inerzie rispetto all’analisi rigorosa e precisa. Il metodo sperimentale sviluppato consiste nel separare la popolazione (cioè un campione della popolazione totale) in due gruppi, facendo beneficiare del programma che si vuole testare solo uno. Gli individui sono assegnati in maniera aleatoria (random) a un gruppo, così da eliminare ogni pregiudizio nella selezione. Se così non fosse, risultati diversi potrebbero essere dovuti a fattori diversi dall’essere o meno esposti al programma.

Da allora, l’approccio controfattuale con l’utilizzo di gruppi campione è stato ampliato e perfezionato tanto da essere utilizzato da centinaia di ricercatori, governi e ONG di tutto il mondo per prendere decisioni politiche importanti, da come migliorare l’istruzione a come aiutare i cittadini più poveri o come far funzionare un intervento di sanità pubblica.

Michael Kremer dal canto suo ha lavorato in particolare sulle cosiddette “prove randomizzate e controllate” con le quali testare semplici proposte politiche concrete in contrapposizione con l’approccio della maggior parte degli economisti che si concentravano soprattutto su grandi domande sulla politica economica nazionale nei paesi poveri. Sono note le sue ricerche sugli interventi educativi in ​​Kenya a metà degli anni ’90, che secondo il comitato del Nobel hanno rappresentato un modo completamente nuovo di pensare allo sviluppo globale.

I poveri, hanno spiegato i tre studiosi, non sono meno razionali degli altri, anzi, proprio perché possiedono così poco, spesso sono costretti a ponderare le loro decisioni molto attentamente. Ma le loro scelte di vita sono spesso determinate da fattori che sfuggono alla logica dell’economia di mercato. “Perché un uomo in Marocco che non ha abbastanza da mangiare compra una televisione? Perché è così difficile per i bambini delle aree povere imparare, anche quando frequentano la scuola? Avere molti figli ti rende davvero più povero? “. E’ su domande di piccola scala come queste che hanno applicato i metodi di ricerca che sono definiti rivoluzionari dal comitato che li ha insigniti del più ambito riconoscimento al mondo.

Questa trasformazione dell’economia dello sviluppo in un campo fortemente empirico che si appoggia pesantemente sugli studi controllati randomizzati non è stata certo priva di controversie e critiche. Non mancano infatti i detrattori dei metodi perfezionati dai tre ricercatori che, se utilizzati su larga scala, potrebbero rivelarsi insostenibili o essere inapplicabili a molte delle iniziative di sviluppo che ogni giorno salvano la vita di milioni di persone. Le sperimentazioni proposte e le verifiche sui gruppi campione secondo molti operatori dello sviluppo sono troppo onerose per poter essere operate in modo sistematico oltre che pericolosamente discriminatorie nei confronti delle comunità non beneficiarie.

In un contesto in cui i donatori vogliono vedere sempre più l’impatto dei loro soldi, i professionisti dello sviluppo sono alla ricerca di modi per rendere i progetti più efficaci e i politici vogliono una maggiore accountability sui budget destinati agli aiuti, l’opzione che prende piede è quella di valutare i progetti sulla base dei risultati mettendo al centro l’efficacia dell’aiuto.  Il rischio che altrettanti ricercatori sottolineano è quello di restringere la nostra attenzione verso i micro-interventi a livello locale alla ricerca di risultati osservabili nel breve termine, creando l’illusione che questi siano decisivi per risolvere le sfide globali. Un approccio che potrebbe sembrare ragionevole ma che rischia di perdere il quadro d’insieme e ignorare i più ampi motori macroeconomici, politici e istituzionali dell’impoverimento e del sottosviluppo. I progetti potrebbero sì produrre micro-risultati soddisfacenti, ma incidere poco sui sistemi che producono i problemi più ampi come povertà, disuguaglianza e cambiamenti climatici.

Come a dire che distribuire bonus di rendimento agli insegnanti, ad esempio, è una risposta inadeguata di fronte a un paese che taglia il budget per l’istruzione per pagare un debito pubblico fuori controllo o che la distribuzione di compresse di purificazione dell’acqua può risultare una misura inconsistente davanti alla siccità indotta dai cambiamenti climatici che richiedono strategie coordinate di politica pubblica spesso anche a livello transazionale.


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  1. La Esther aveva contribuito alle ricerche in Microfinanza facilmente smontando la tesi che il microcredito faccia diventare più ricchi (reddito, consumi, patrimonio – https://economics.mit.edu/files/5993).
    In questo settore, i risultati sono stati una sorpresa per TUTTI..per tutti coloro che evidentemente poco si erano basati sulla teoria e sulla realtà.
    La microfinanza tocca/migliora la posizione FINANZIARIA delle persone (avere di ciò con cui pagare al momento giusto)..non tocca direttamente quella ECONOMICA (reddito, a carico piuttosto dell’impresa che potrebbe oppure no utilizzare le risorse finanziarie) nè quella PATRIMONIALE (redditi netti cumulati, regali, eredità…furti).
    L’utilizzo di risorse RAT per verificare/smentire ipotesi/tesi strampalate è stato utile in questo caso. Forse anche ridondante/superfluo/innecessario..come ad es. condurre dei RAT per sapere se gli asini volano: la risposta è no.

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