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Chi non vuole le ONG

Più volte abbiamo sentito nei dibattiti degli ultimi anni che le ONG stanno perdendo la loro capacità di incidere sulle ingiustizie e che non sono più in grado di produrre il cambiamento che propongono. Eppure a guardare il panorama internazionale sembrerebbe che facciano ancora paura a tanti poteri forti, almeno a giudicare dal numero di paesi che stanno legiferando per ostacolare il loro lavoro. Negli ultimi mesi giungono notizie preoccupanti da tanti paesi, non proprio campioni di democrazia e pluralismo. Cina, Russia, India, Sud Sudan, Kenya, Egitto, Uganda stanno seguendo l’esempio da altri paesi che già da anni hanno messo praticamente al bando le ONG, straniere e locali. Gli apripista di questa tendenza furono Eritrea ed Etiopia rispettivamente nel 2006 e 2009.

 

Ecco in pillole quello che sta accadendo in questi paesi e quali problemi si pongono per la continuità del lavoro della società civile locale e delle ONG internazionali.

 

CINA
Il governo cinese ha pubblicato lo scorso dicembre la prima bozza di una controversa legge che tende a stringere le già severe norme sulla società civile a Pechino. Alcune delle disposizioni che hanno sollevato preoccupazioni tra le ONG includono restrizioni sulla raccolta di fondi e sul processo di registrazione necessario per guadagnare il riconoscimento giuridico da parte del governo centrale.

 

RUSSIA
Lo scorso 19 maggio la Duma russa ha approvato un controverso progetto di legge che permette alle autorità di mettere al bando quelle ONG straniere ritenute “indesiderabili”: il provvedimento dovrà ora essere ratificato dal Senato, il che costituisce poco più di una formalità. La legge – alla quale si è detto contrario anche lo stesso consigliere per i diritti umani del Cremlino – permette di vietare le ONG che vengano considerate una minaccia per le “capacità di difesa” o “fondamenta costituzionali” della Russia, nonché di perseguire gli attivisti anche locali che ne siano dipendenti o collaboratori.

 

INDIA
A fine aprile l’India ha annullato la registrazione di quasi 9.000 ONG e enti di beneficenza per non aver dichiarato i dettagli delle donazioni ricevute dall’estero. Si tratta di un secondo giro di vite del governo indiano negli ultimi 12 mesi, un vero e proprio processo di sorveglianza sulle organizzazioni non governative che ricevono finanziamenti stranieri nel paese. La notizia si è diffusa dopo che il governo ha sospeso la licenza di Greenpeace India e ha inserito la statunitense Ford Foundation nella lista di controllo sottoponendo ogni sua nuova attività nel paese all’approvazione del governo

 

SUD SUDAN
Il parlamento di Juba ha approvato a maggio una norma che impone alle ONG standard molto rigidi. Solo un quinto dei cooperanti può essere straniero e i conti bancari devono essere in istituti locali. Un provvedimento che a sentire i responsabili di diverse ONG renderebbe impossibile la permanenza di molte organizzazioni non governative sul territorio.

 

EGITTO
Poco dopo l’elezione di Al Sisi, in un annuncio su un giornale apparso a luglio del 2014, il ministero degli Affari sociali chiedeva a tutte le ONG egiziane di registrarsi ai sensi della legge che regola il settore dal 2002. Questa legge riduce ulteriormente il già limitato margine di manovra permesso alle attività delle ONG e introduce ulteriori restrizioni sulle loro attività e sulle procedure per costituirle.

 

KENYA
Il Kenya ha iniziato un percorso restrittivo nei confronti della società civile disponendo la chiusura di oltre 500 associazioni comunitarie locali, adducendo motivi legati a irregolarità amministrative. Molti osservatori hanno letto questo atto come un chiaro segnale da parte del governo di voler controllare molto più attentamente il settore delle ONG . Recentemente il parlamento ha avviato un dibattito per la revisione in senso restrittivo della legge che regolamenta il lavoro delle ONG locali e straniere.

 

UGANDA
Alcune settimane fa l’associazionismo ugandese si è mobilitato contro la nuova proposta di legge che regolamenterà il settore delle ONG. La proposta, approvata dal governo il 10 di aprile, sarà presto discussa in parlamento e fornirà alle autorità locali gli strumenti per controllare il flusso delle donazioni dall’estero verso le ong locali.

 


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  1. lontano da quell’autoreferenzialismo che contraddistingue tante ONG che ancora oggi pensano di salvare il mondo e di essere sempre dalla parte giusta, queste leggi e queste posizioni (cha andranno a moltiplicarsi) sono l’opportunità per le ONG di un serio esame di coscienza del loro operato. Che non le si voglia sul proprio territorio puo’ avere molteplici spiegazioni…qualcuna magari anche giusta…dopo 20 anni di servizio…un po di realismo non guasta!

    1. Approverei la scelta se il fine fosse di chiudere tutte quelle ONG (italiane in particolare) che utilizzano i fondi per mantenere strutture elefantiache e inefficienti il cui solo scopo dell’implementazione progetti è raccogliere i famosi costi amministrativi senza alcuno interesse verso l’efficacia (visto che l’efficienza nemmeno si pongono il problema di raggiungerlo) e l’accountability .
      Purtroppo molto spesso vengono chiuse invece quelle ONG che sono di disturbo perchè gridano a gran voce il mancato rispetto dei diritti umani o denunciano politiche discriminatorie, ovvero non accettano di piegarsi alle tante forme di corruzione dei vari governanti (vd l’esempio Etiope e non solo in cui i progetti sono decisi dal Governo e realizzati se e solo se si accetta di assumere uomini di fiducia del Ministero di turno).

  2. Il principio cardine per ogni Ong che operi in una realtà impoverita del pianeta, dev’essere questo: LAVORARE PER RENDERSI INUTILE. Sappiamo, però, che la stragrande maggioranza di queste Ong lavora per mantenere in piedI la logica dell’assistenzialismo e della (loro) imprescindibilità nell’aiuto. Ergo, da dove altro riuscirebbero ad avere “i schei” per continuare a chiamarsi “Ong”? In breve: l’impoverimento e la disperazione dei tanti è uno straordinario affare per altrettanti TRAFFICANTI DI PIETISMO ASSISTENZIALISTICO. Giusto, allora, che alcuni stati prendano i loro provvedimenti precauzionali su queste vere e proprie “businees institutions.

  3. Anche la spinta (e i fondi) di tanti donatori internazionali che forzano le ong a essere più controllori-contestatori dei governi invece che aiutare concretamente la popolazione potrebbe essere un fattore che influisce sulla restrizione dello spazio per la (cosiddetta) società civile. Sarebbe anche interessante approfondire la reale constituency e relativa rappresentatività di queste organizzazioni…

  4. Tutto il settore “umanitario” andrebbe interrato definitivamente. Serve solo a manterenere chi ci lavora, da un lato, e, dall’altro, a viziare le popolazioni “beneficiarie” che intrevedono nelle loro stesse condizioni di miseria una speranza per attirare i “buoni” e approfittare del loro “aiuto”, senza per questo risolversi a farsi carico di loro stessi e dei loro figli (anche quando avrebbero l’opportunità di farlo). Sorvoliamo sullo sciame di anime belle che volano di qua e di là nell’intento di salvare il mondo. Ma a piantare un albero c’hanno mai pensato? Forse per il mondo sarebbe più utile quello che altre cose …

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