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Business for Good, la lunga strada per coinvolgere il privato profit nella cooperazione

Nonostante se ne parli ormai da anni, il coinvolgimento del settore privato profit nella cooperazione allo sviluppo non è scontato e tanto meno immediato. A quasi tre anni dall’approvazione della legge 125 che apre la strada al settore privato profit nella cooperazione, uno studio commissionato dall’AICS rileva un’attivazione delle imprese italiane molto bassa e concentrata tra le aziende di grandi dimensioni. Il cosiddetto Business for Good, o Profit for Development nel nostro paese è costituito da una nicchia di imprenditori con l’animo filantropo e stenta ad entrare nelle strategie aziendali. La maggioranza delle aziende intervistate in 6 regioni italiane affermano di non credere nel modello filantropico e una parte dichiara di non percepire la filantropia come un tema rilevante per l’operato aziendale.

 

Lo studio “Stato dell’arte del coinvolgimento del privato profit italiano nella cooperazione internazionale allo sviluppo secondo il modello del business inclusivo: dati, strumenti e processi di interazione” è stato realizzato da De-LAB tra novembre 2016 e gennaio 2017 su commissione dell’AICS. Delle 504 aziende contattate per un’intervista in sei regioni italiane (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Campania, Puglia) solo 146 si sono rese disponibili, una redemption di per se molto bassa che indica una limitata conoscenza o interesse nell’argomento.

 

Il 48 % dei rispondenti aziendali ha dichiarato che l’azienda per la quale lavorano ha in essere dei progetti di beneficienza (es. sponsorizzazioni, donazioni pro-bono, raccolte fondi). Tra le finalità più ricorrenti di devoluzione di una parte del fatturato a progetti sociali o ambientali vi è l’emergenza del terremoto in Umbria e nelle Marche, che per il 23% delle aziende sensibili ha rappresentato lo scenario di coinvolgimento più sentito.
Secondo gli estensori della ricerca la corporate philantropy, realizzata egualmente da aziende di piccola e grande dimensione, rimane tra le scelte aziendali italiane in grado di avvicinare un brand al proprio territorio e alle tematiche socio-ambientali maggiormente percepite. Nonostante ciò, essa non è considerata una scelta aziendale strategica, pertanto i processi di filantropia aziendale non sono pensati per legarsi in maniera virtuosa al brand e alla sua reputazione. Anche aziende più strutturate che presentano, tra gli altri, progetti di filantropia, non li considerano l’espressione più interessante della propria brand reputation, spingendosi addirittura a non volerli promuovere o limitandosi a raccontarli nel bilancio sociale o di sostenibilità.

Anche sul fronte dell’utilizzo di linee guide sociali (es. ISO 26000, linee guida OCSE per MNCs) o modelli di quantificazione degli impatti sociali, il panorama non è entusiasmante. Solo il 19,4% delle aziende rispondenti hanno dichiarato di adottare linee guida sociali, o di far parte di network internazionali che propongono modelli di advocacy ed engagement su temi socio-ambientali. Il 61% delle aziende ha dichiarato di non aver aderito ad alcun network o rete sociale, né di seguire linee guida o vantare certificazioni in materia di ethical business.

 

Ancora più bassi i valori registrati sulla conoscenza del modello di “Buisness Inclusivo”. Solo 12 aziende su 146 (ossia l’8 % delle aziende rispondenti) hanno riportato di avere già sviluppato iniziative di Business Inclusivo in linea con quelle promosse a livello internazionale da istituzioni multilaterali tra cui le Nazioni Unite.

 

Nonostante la conoscenza attuale molto limitata, si registra invece un incoraggiante interesse ad investire risorse nello sviluppo di nuovi modelli di buisness, tra cui il buisness inclusivo, all’interno degli scenari offerti dalla L.125/2014.
60 aziende, ossia il 41% delle aziende intervistate, hanno dichiarato di essere disposte ad avvicinarsi al tema del business inclusivo e di essere interessate a metterlo in pratica in futuro, dimostrando una predisposizione all’ascolto e al coinvolgimento attivo sul tema. Tali aziende sono caratterizzate da una forte vocazione internazionale, o sono attive nel settore della green economy o del digital/ICT. La loro dimensione varia da realtà multinazionali a start-up, queste ultime concentrate in settori green (renewable energy e green tech).
Infine gli strumenti. La maggior parte delle aziende rispondenti si attende supporto finanziario sotto forma di co-finanziamento o agevolazione fiscale per prendere parte ad iniziative di buisness inclusivo all’interno del quadro normativo della legge 125/2014.

 

Scarica lo studio completo

 


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