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Gestire i dati per valutare l’impatto, il digitale può aiutare?

Donatori e i finanziatori esercitano oggi una crescente pressione per raccogliere le prove concrete dei risultati raggiunti dalle azioni finanziate. Una richiesta che le ONG e, più in generale, gli enti non profit sentono anche in relazione alla necessità di comunicare il proprio saper fare attraverso dati e informazioni di qualità. Altri aspetti, quali la gestione d’impatto, l’information management e la valutazione del lavoro, sono parte integrante della stessa questione.

L’elaborazione di visioni strategiche e di piani di lavoro basati su evidenze emerge quindi come un punto di non ritorno, nonostante le diverse contraddizioni del Terzo Settore, che da una parte impone il tema dell’impatto dei progetti e dall’altro è piuttosto avaro nel riconoscere valore e premiare gli investimenti che le organizzazioni devono assumersi per affrontare queste sfide. Non mancano infatti gli ostacoli, interni ed esterni, che le organizzazioni affrontano nella strutturazione di un sistema a supporto di tutte le fasi della gestione d’impatto (pianificazione strategica, progettazione, implementazione progetti, definizione-raccolta-elaborazione dati, restituzione).

A partire da queste riflessioni, ChangeLab ha organizzato nello scorso mese di ottobre un seminario che ha visto la partecipazione di professionisti e professioniste che lavorano per donatori pubblici e privati, ONG e agenzie specializzate in data management ed esperti di valutazione dell’impatto, allo scopo di condividere “lo stato dell’arte” delle proprie esperienze. L’iniziativa è nata nella convinzione che l’innovazione digitale nei sistemi di monitoraggio e valutazione sia ormai un’esigenza centrale e sentita da molti interlocutori, ma a fronte di uno scenario di risposte a questa esigenza ancora molto confuso e problematico.

Il primo passo necessario è fare chiarezza su cosa valutare e perché. Oggi molti dati vengono raccolti dalle organizzazioni a diversi livelli senza che sia definito fin dal principio come questi saranno processati e a quali domande specifiche dovrebbero rispondere. Ad esempio: monitorare, valutare e migliorare la strategia dell’organizzazione, del programma o del progetto; fornire dati per la rendicontazione (accountability); produrre evidenze per le attività di comunicazione ed advocacy; fornire elementi solidi per le attività di progettazione. Si tratta pertanto di “usi” differenziati, che coinvolgono anche molteplici livelli organizzativi: dirigenza, referenti di programma o di progetto, comunicazione, amministrazione, raccolta fondi, risorse umane, IT.

Pianificare e fissare l’obiettivo è quindi la prima fase del cosiddetto “ciclo di vita del dato” sul quale sono emerse al seminario indicazioni importanti per gli operatori e le organizzazioni che potranno orientare le scelte future in materia di trasformazione digitale.

La seconda fase, indubbiamente la più sviluppata e digitalizzata, è quella della raccolta dei dati. Sebbene progetti e programmi siano ossessivamente impegnati a raccogliere dati e informazioni, impegnando molte risorse, la fase di raccolta risulta particolarmente critica.  Esiste sia un problema di incertezza del dato che di appropriatezza dei metodi e degli strumenti impiegati. Gli operatori sul campo e le comunità locali, inoltre, sono spesso poco coinvolti nel disegno complessivo e non vedono un beneficio diretto di questo lavoro, che appare scollegato dalle esigenze operative, difficoltoso e confuso. A questo si aggiunge la complessità di una relazione con donatori sempre più esigenti ma non allineati tra loro. Negli ultimi anni si sta assistendo alla nascita di piattaforme specifiche dove alcuni donatori hanno creato dei menu appositi di indicatori. Questi, tuttavia, rispondono per lo più alle loro strategie le quali non coincidono con le necessità di monitoraggio dei progetti concreti, moltiplicando il lavoro di raccolta, senza, tuttavia, rispondere alle esigenze conoscitive degli enti implementatori. Emerge, infine, anche un problema di gestione della “privacy”, che in alcuni casi richiede un’attenzione particolare da considerare nella fase di disegno della raccolta.

Il passaggio successivo è quella dell’elaborazione dei dati, il processo con il quale si “estrarre valore” dal dato per trasporlo in forme utili a rispondere alle domande di partenza. Spesso si raccolgono troppi dati rispetto all’effettiva capacità di elaborazione degli stessi. Peggio ancora si raccolgono dati diversi (anche disomogenei) senza aver definito un procedimento logico di misurazione dei risultati. A questo si aggiunge anche il tema della “contestualizzazione del dato” che implica uno sforzo aggiuntivo da considerare per arrivare a interpretare il dato correttamente in base al contesto operativo e geografico specifico.

I dati raccolti ed elaborati devono infine essere comunicati o comunque resi disponibili nella modalità più fruibile possibile (data visualization, open data) per garantire la massima capitalizzazione di tutto il lavoro di raccolta. Anche su questo tema sono emerse numerose criticità, in particolare una scarsa attitudine a disegnare in anticipo le forme con le quali i dati saranno presentati e un piano di comunicazione degli stessi, per target e con un budget dedicato.

Nonostante lo sviluppo digitale offra enormi opportunità per la gestione ottimale del ciclo di vita dei dati, il seminario ha registrato un certo livello di arretratezza congenita degli attori del terzo settore che, nei fatti, strutturano gran parte del proprio lavoro con l’uso dei software più conosciuti (Excel, word), elaborando in continuazione sistemi interni spesso ridondanti, incoerenti, dispendiosi e, soprattutto, inefficaci. Alcune organizzazioni stanno sperimentando, su singoli progetti, l’applicazione di sistemi strutturati di raccolta e analisi dati, ma con difficoltà nel garantire la sostenibilità del processo in mancanza di risorse adeguate.

Allo stato attuale non spiccano ancora soluzioni consolidate, solide e vincenti ma emergono tuttavia delle piste di lavoro sulle quali sarebbe utile continuare la ricerca e il confronto. Resta la necessità di approfondire il tema della “cultura del dato”, spesso assente anche nei donatori e di lavorare sulle competenze necessarie sia in chi progetta il piano di M&V sia in coloro che sono chiamati a raccogliere e analizzare il dato attraverso adeguati investimenti e piani di formazione.

Tutti siamo chiamati a spingere sulla qualità in ciascuna delle fasi del ciclo del dato sopra descritte. Con un ruolo particolare per i donatori. I donatori, di fatto, sono in una posizione decisamente privilegiata per agire un cambiamento: hanno le risorse e il ruolo per promuovere interventi realisticamente valutabili e un ambiente favorevole all’apprendimento, dove sia consentito sbagliare sostenendo sperimentazioni e spingendo per scalare le innovazioni.

(Hanno partecipato al seminario: ActionAid, AICS, ArcoLab, AVSI, CIAI, CNR, Compagnia San Paolo, Con i Bambini, COSPE, Fondazione Cariplo, Gnucoop, Mani Tese, Punto Sud, Social Value Italia, TeamDev, TechSoup, We World.)


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