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Aspettando il Piano Mattei per l’Africa

“Sono d’accordo a dare nuove risorse non al capitolo migratorio, ma all’Africa. Quello che dobbiamo fare è costruire una partnership diversa con l’Africa, aiutiamo l’Africa a vivere di ciò che ha. Parliamo di un continente estremamente ricco di materie prime e risorse, che noi possiamo aiutare a valorizzare, anche per interesse nostro. Si tratta di mettere risorse per costruire una partnership strategica, come il Piano Mattei”. Così la premier, Giorgia Meloni, a margine del vertice di Granada. E’ questa l’ultima di una lunga serie di dichiarazione sul Piano Mattei per l’Africa che il governo starebbe elaborando da quasi un anno e che dovrebbe essere presentato a Roma i prossimi 5 e 6 novembre durante la Conferenza Italia-Africa.

Nel mondo della comunicazione lo chiamerebbero teaser (dall’inglese to tease, stuzzicare) una campagna pubblicitaria preliminare, di forte impatto, che cerca di suscitare nel pubblico la maggior curiosità possibile, a volte senza rivelare il nome e/o la marca del prodotto pubblicizzato, attraverso brevi trailer, in cui il montaggio rapido di brevissimi spezzoni ha l’obiettivo di suggestionare e creare aspettative.

E’ proprio questo che abbiamo letto e sentito del Piano Mattei per l’Africa: brevi dichiarazioni rilasciate soprattutto dalla premier Meloni e dal Ministro degli esteri Tajani che parlano di un piano di grande rilevanza che coinvolgerebbe anche l’intera Europa con un ruolo di guida da parte del nostro paese. Un processo ambizioso, sul quale la diplomazia è a lavoro su più tavoli. Quelli con i governi degli Stati africani e quelli con i partner Ue. L’ultima novità infatti sembrerebbe essere proprio quella di una governance di questo piano allargata all’Europa “Siamo in dirittura d’arrivo con una norma sulla governance di questo nostro Piano”. La premier non si sbilancia, ma non è difficile ipotizzare che possa essere creata una cabina di regia apposita, che gestisca i vari negoziati sotto la guida della stessa presidente del Consiglio. I testi, comunque, saranno portati anche in Parlamento e all’attenzione delle istituzioni europee. Perché “per essere efficace” il Piano Mattei ha bisogno “di un’Europa che ci creda nel suo complesso. Da soli non possiamo risolvere tutti i problemi del continente”.

Ma cosa sarà in concreto il Piano Mattei? Come ha chiarito lo stesso presidente del Consiglio più di una volta, il piano per ora consiste in un “modello di cooperazione” che dovrà essere non predatorio nonostante al centro ci sia la necessità Italiana ed europea di garantirsi approvvigionamenti energetici che consentano un’autonomia dalla Russia. Altre indiscrezioni circolate nelle ultime settimane suggeriscono addirittura che il progetto possa includere anche un capitolo dedicato al reperimento delle materie prime cosiddette critiche, di cui alcuni paesi dell’Africa sono molto ricchi.

“Niente paternalismi ma un vero partenariato, una relazione tra pari. L’Africa vista con occhi africani: in questa logica condivideremo alcune proposte con i governati africani”, così ha dichiarato Tajani rispondendo a un’interrogazione nel corso del Question Time alla Camera la scorsa settimana. Un ottimo proposito che però sembra difficilmente realizzabile visto che la seconda parola chiave del piano è “Migrazioni”. Una relazione alla pari impostata sulla nostra necessità univoca di respingere o bloccare i flussi migratori potrebbe essere di difficile realizzazione. Un’anteprima di questa dinamica il nostro paese l’ha vista già con Libia, Turchia e Tunisia, se uno degli obiettivi da portare a casa è il blocco dei migranti i paesi africani avranno sempre su questo capitolo una posizione dominante, non certo alla pari. Condizionare aiuti o piani di investimento alla capacità di ridurre il flusso migratorio in uscita dall’Africa mette automaticamente il nostro paese sotto scacco e consente a paesi come Tunisia e Libia di essere determinanti aprendo e chiudendo i “rubinetti” delle partenze.

La terza parola chiave spesso utilizzata nel teaser verso il Piano Matteri è “Cooperazione”. “Numerose le aree di cooperazione: agroindustria, transizione energetica lotta ai cambiamenti climatici, infrastrutture fisiche e digitali formazione professionale, cooperazione culturale scientifica e accademica” aveva chiarito Tajani dando una connotazione più precisa ai contorni della strategia italiana. “Intendiamo mettere a sistema le attività che l’Italia realizza orientandole su priorità condivise e mobilitando nuove risorse non solo pubbliche. Vogliamo incrementare le joint venture per trasformare in loco le materie prime con lavoratori africani di cui il continente è ricco: la crescita è lo strumento più efficace per favorire la stabilizzazione delle aree di crisi e aggredire le cause di emigrazione e contrastare la diffusione del radicalismo anche la cooperazione allo sviluppo rappresenta un tassello importante: l’Africa è il primo beneficiario delle nostre attività. Mentre abbiamo 400 iniziative a dono e più di 40 progetti a credito per un totale di circa 2 mld di euro. Ma l’Italia non può farcela da sola e fin da quando ero vicepresidente della Commissione europea insistevo sulla necessità di un piano Marshall europeo per l’Africa che ancora oggi è più necessario. Occorre coinvolgere le organizzazioni e le istituzioni finanziarie internazionali come abbiamo fatto per la conferenza di Roma su sviluppo e migrazioni; anche all’Onu abbiamo sensibilizzato gli interlocutori sull’esigenza di una più vasta operazione europea e globale la presidenza italiana del G7 offrirà una maggiore opportunità per rendere l’Africa una priorità per tutti”, aveva concluso Tajani.
Sembrerebbe quindi che l’esistente sistema italiano della Cooperazione Internazionale debba avere un ruolo chiave nel piano. Eppure negli ultimi sei mesi proprio in questo ambito assistiamo a un silenzio assordante, come se qualcosa di importante si stia muovendo intorno ma senza coinvolgere in nessun modo gli attori e le istituzioni che fino ad oggi hanno garantito il funzionamento del sistema italiano della cooperazione. Gli organi preposti dalle legge 125 sono congelati da mesi, L’agenzia per la Cooperazione attende la nomina di un nuovo direttore ormai da nove mesi, alla guida della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del MAECI è stato nominato un direttore generale a fine carriera, il vice ministro con delega alla Cooperazione non sembra aver mai preso realmente in mano il dossier, almeno in maniera esplicita e visibile agli interlocutori del settore.

Se la parte “Cooperazione Internazionale” del MAECI sembra silente, forse molto di più si muove nel mondo della diplomazia che è sicuramente determinate per l’attuazione di un piano come quello che l’Italia sta per mettere in campo. Anche qui però non mancano le criticità. A sollevarle in modo palese è un esponente importante della coalizione di governo, Guglielmo Picchi, fondatore e dirigente del Centro studi politici e strategici Machiavelli, già deputato e sottosegretario agli Esteri nonché candidato alla direzione dell’AICS. In un suo recente intervento allerta il governo in vista del Piano Mattei sulla consistenza della rete diplomatica italiana in Africa. Un quadro definito lacunoso che avrebbe difficoltà a sostenere un’iniziativa così rilevante nella quale l’Italia dovrebbe giocare un ruolo di prima linea. E’ impietoso l’elenco pubblicato da Picchi sulla dotazione di personale delle sedi diplomatiche italiane nel continente.

Mauritania: dal 2014 il paese è seguito dall’Ambasciata d’Italia a Rabat (Marocco), ove lavorano quattro funzionari diplomatici.

Mali: la sede a Bamako è operativa solo dal 1° dicembre 2020 e, nonostante la centralità geopolitica del Paese in chiave anti-terrorismo e prevenzione dei flussi migratori, può contare unicamente sulla presenza del Capo Missione e di una unità a contratto; da qui il concetto di “laptop diplomacy”, a fronte però di priorità strutturali che consiglierebbero una copertura maggiore, come testimoniato peraltro dalla perdurante vacanza del posto di Funzionario Vicario.

Burkina Faso: analogamente, l’ambasciata ad Ouagadougou è operativa dal febbraio 2018 e vi svolge servizio solo il Capo Missione (del grado di Consigliere d’Ambasciata), coadiuvato unicamente da un assistente amministrativo dei ruoli del MAECI e da una sola unità a contratto a legge locale, in costanza della vacanza del posto da Vicario Ambasciatore.

Niger: Anche a Niamey la dirigenza diplomatica è rappresentata unicamente dall’Ambasciatore, sprovvisto tuttora dell’ausilio di un Funzionario Vicario (potendo contare su un organico ridotto a quattro contrattisti locali). L’Ambasciata a Niamey ospita anche un Addetto militare.

Nigeria: La Missione ad Abuja conta su 2 diplomatici (con ruolo di Vicario coperto) ma è gravata dagli oneri scaturenti dagli accreditamenti secondari a Porto Novo (Benin) e presso l’ECOWAS/CEDEAO (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale), prospettandosi quindi l’opportunità per rafforzare l’organico in termini di distacco permanente di un funzionario a livello multilaterale e/o in Benin.

Ciad: In assenza di un ambasciatore residente a N’Djamena, il Capo Missione a Yaoundé (Camerun) ha un accreditamento secondario in quel Paese. Tuttavia, giova notare come l’Ambasciata a Yaoundé soffra di carenze di personale (in servizio solo il Capo Missione, del grado di Consigliere di Ambasciata, coadiuvato da tre aree funzionali), a fronte di accreditamenti secondari, oltre che in Ciad, anche a Malabo (Guinea Equatoriale) e Bangui (Repubblica Centrafricana). Anche in questo caso, si registra la perdurante vacanza del posto di Vicario dell’ambasciatore.

Senegal: La Sede a Dakar conta su un maggiore contingente di diplomatici (3) a fronte però di accreditamenti secondari in tre capitali: Banjul (Gambia), Cidade de Praja (Capo Verde) e Bissau (Guinea Bissau).

Sudan: La Sede a Khartoum, evacuata il 24 aprile 2023, assieme ai connazionali presenti in, conta su due diplomatici ed attualmente opera da Addis Abeba (Etiopia). In quest’ultima Sede lavorano invece 5 diplomatici, a fronte di accreditamenti secondari a Gibuti, Juba (Sud Sudan) e IGAD (Inter-Governmental Authority on Development).

Eritrea: La sede ad Asmara, con due diplomatici ed in costanza delle attuali previsioni di organico della rete, non registra vacanze nella filiera appunto dirigenziale.

Kenya: Stessa cosa dicasi per Nairobi, ove svolgono servizio tre diplomatici, chiamati tuttavia a gestire accreditamenti secondari presso UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente), UN HABITAT (Programma delle Nazioni Unite per gli Insediamenti Umani) e Port Victoria (Isole Seychelles).

Somalia: A Mogadiscio, prestano servizio due diplomatici e vi è vacanza per il posto di terzo funzionario.  La Sede ospita un’addettanza militare.

Un quadro che – secondo Picchi – vede una ridottissima presenza numerica di diplomatici di carriera, una costante assenza di vice-Capo Missione e ridotto personale amministrativo, riassumibile nel concetto di “ambasciatore senza ambasciata”. Qui si inserisce un ulteriore elemento che va profondamente analizzato ovvero i motivi dell’assenza dei giovani diplomatici nel Sahel che non sono solo legati alla pianta organica ma piuttosto alle aspettative di carriera.

Una preoccupazione di cui il governo dovrebbe tener conto in questa fase a meno che non si voglia valorizzare, come fatto negli ultimi decenni, quella che è da sempre considerata la nostra rete diplomatica parallela in Africa, quella della costituita dalla ENI, l’azienda energetica di stato che è attiva in 14 Paesi africani tra cui Egitto, Nigeria, Libia, Algeria, Repubblica del Congo, Angola e Mozambico.
Probabilmente è proprio ad ENI che si sta scrivendo buona parte del Piano Mattei, non casuale infatti l’ispirazione a Enrico Mattei, ex presidente dell’ENI morto in un’incidente aereo nel 1962 e considerato uno dei più importanti dirigenti d’azienda italiani nel settore energetico. A leggere la visone strategica di ENI e del suo attuale Ad Claudio Descalzi, ci sono non poche sovrapposizioni e allineamenti già molto visibili nella missione apripista della Meloni in Algeria del gennaio scorso, missione targata 100% ENI.

Vista l’aspettativa creata dal teaser di questi ultimi 10 mesi su vari fronti sarebbe una delusione se il Piano Matteri per l’Africa fosse poco più di un Piano ENI per l’Africa.


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  1. Ottimo il Progetto Mattei. Sarà complesso metterlo in atto, tenuto conto della grandezza dell’Africa e del gran numero di nazioni. Ma se l’Italia si concentra sulla Tunisia (operazione già avviata), sulla Libia ed in particolare sul Corno d’Africa (Ethiopia-Somali-ERITREA), avrà di che lavorare in luoghi che conosce bene, Nazioni che sono state in gran parte costruite dagli italiani. Che l’italiano è Ben Voluto, che le popolazioni sperano vivamente di rivedere Gli Italiani in casa loro. Che le nostre scuole possono ricominciare la formazione (come hanno fatto dai primi del novecento) della gioventù. TUTTO in collaborazione con i Governi degli Stati di cui sopra. AVANTI ITALIA, sei attesa da tempo ed ora è il momento.

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